[Canone della riforma generale]
Continuò immediate la lettura della riforma generale, della quale, dopo essortati li vescovi
alla vita essemplare et alla modestia negl'apparati, mensa e vitto frugale,
1 Viene proibito che delle rendite della chiesa non possino far parte a' parenti e famigliari,
eccetto se sono poveri, estendendo quello che de' vescovi è detto a tutti li beneficiati secolari e
regolari et ancora a' cardinali.
2 Che li vescovi, nel primo concilio provinciale, ricevino li decreti d'essa sinodo tridentina,
promettino obedienza al papa, anatematizino le eresie condannate, e l'istesso faccia ciascun vescovo
che per l'avvenire sarà promosso, nella prima sinodo; e tutti li beneficiati che debbono convenir in
sinodo diocesana, in quella faccino il medesimo. E quelli che hanno cura dell'università e studii
generali, operino che da quelli siano ricevuti li medesimi decreti e li dottori insegnino conforme a
quelli la fede catolica; e di ciò ne facciano giuramento solenne in principio di ciascun anno, e quelle
che sono soggette immediate al pontefice, Sua Santità averà cura che siano riformate da' suoi
delegati in quella maniera o come meglio gli parerà.
3 Che se ben la spada della scommunica è il nervo della disciplina ecclesiastica, molto
salutifero per contener gl'uomini in ufficio, s'ha da usar con sobrietà e circonspezzione, avendo
imparato per esperienza esser piú sprezzato che temuto, quando si fulmina temerariamente per
causa leggiera; però da altri che dal vescovo non possi esser fulminata per cose perse e rubate, il
quale non si lasci indur a concederla dall'autorità di qualsivoglia secolare, eziandio magistrato. E
nelle cause giudiciali, dove si può far l'essecuzione reale o personale, s'astenga da censure; e nelle
civili, spettanti in qualonque modo al foro ecclesiastico, possino usar pene pecuniarie, eziandio
contra li laici, o proceder per presa de pegni overo delle persone medesime, con essecutori suoi o
altri; e non potendosi esseguir realmente o personalmente, ma essendoci contumacia, si possi
proceder alla scommunica; et il medesimo nelle cause criminali. Né il magistrato secolare possi
proibir all'ecclesiastico di scommunicare overo rivocar la scommunica sotto pretesto che le cose del
decreto non siano state osservate. Il scommunicato, se non si ravederà, non solo non sia ricevuto a
partecipar co' fedeli, ma se persevererà nelle censure, si possi proceder contra lui come sospetto
d'eresia.
4 Dà facoltà a' vescovi che nella sinodo diocesana, et a' capi degl'ordini ne' suoi capitoli
generali possino ordinar nelle loro chiese quello che sia ad onor di Dio et utilità di quelle, quando vi
sia obligo di celebrar cosí gran numero di messe per legati testamentarii che non si possino satisfar
overo l'elemosina sia tanto tenue che non si trovi chi vogli ricever il carico; con condizione però,
che sempre si faccia memoria di quei deffonti che hanno lasciati li legati.
5 Che nella collazione o qualonque altra disposizione de' beneficii non sia derogato alle
qualità, condizioni e carichi ricercati, overo imposti nella erezzione o fondazione, o per qualonque
altra constituzione; altrimenti la provisione sia stimata sorrettizia.
6 Che quando il vescovo procede fuori di visita contra li canonici, il capitolo nel principio di
ciascun anno elegga doi, col conseglio e consenso de' quali abbia da proceder in tutti gl'atti, e sia
uno il voto d'ambidoi, e se saranno tutti doi discordi dal vescovo, sia eletto da loro un terzo che
determini la controversia; e non accordandosi, sia eletto il terzo dal vescovo piú vicino; ma nelle
cause di concubinato o piú atroci possi il solo vescovo ricever l'informazione e proceder alla
retenzione, del resto servando quanto è ordinato. Che il vescovo in coro et in capitolo e negl'altri atti
publici abbia la prima sede et il luogo che eleggerà. Che il vescovo preseda al capitolo, se non
quando si tratta del commodo suo e de' suoi, né questa autorità possi esser communicata al vicario e
quelli che non sono di capitolo. Nelle cause ecclesiastiche siano in tutto soggetti al vescovo, e dove
li vescovi hanno maggior giurisdizzione della predetta, il decreto non abbia luogo.
7 Per l'avvenire non sia piú concesso regresso o accesso ad alcun beneficio ecclesiastico, né
li già concessi siano estesi o trasferiti, et in questo siano compresi anco li cardinali. Non siano fatti
coadiutori con futura successione in qualsivoglia beneficii ecclesiastici; e se nelle catedrali o
monasterii sarà necessario o utile il farlo, la causa sia prima conosciuta dal pontefice e vi
concorrano le debite qualità.
8 Che tutti li beneficiati essercitino l'ospitalità quanto l'entrata gli concede, e quelli che
hanno ospitali in governo sotto qualonque titolo, commanda che l'essercitino secondo che sono
tenuti delle entrate a ciò deputate; e se nel luogo non si trovino persone di quella sorte che
l'instituzione ricerca, le entrate siano convertite in uso pio piú prossimo a quello come parerà al
vescovo con doi del capitolo; e quelli che non satisfaranno al carico dell'ospitalità, se ben fossero
laici, possino esser costretti per censure et altri rimedii al loro debito, e siano tenuti alla restituzione
de' frutti nel foro della conscienza, e per l'avvenire simil governi non siano dati ad uno per piú che 3
anni. Che il titolo del iuspatronato si mostri autentico per fondazione o donazione o per
presentazioni moltiplicate da tempo immemorabile, o in altra maniera legitima. Ma nelle persone e
communità che si sogliono presumer averlo usurpato, la prova sia piú essatta e l'immemorabile non
basti, se non si mostrino autenticamente presentazioni di 50 anni almeno, che tutte abbiano avuto
effetto. Le altre sorti de' patronati s'intendino abrogati, eccetto quelli dell'imperatore, re overo
possessori de regni, et altri prencipi soprani e de' studii generali. Possi il vescovo non admetter li
presentati da' patroni se non saranno idonei; li patroni non si possino intrometter ne' frutti, né il
iuspatronato possi esser trasferito in altri contra le ordinazioni canoniche, e le unioni de' beneficii
liberi a quei de iuspatronati, se non hanno sortito effetto, cessino a fatto, e li beneficii siano ridotti a
libertà, e le fatte da 40 anni in giú, quantonque siano perfezzionate, si rivedino da' vescovi e,
trovatovi qualche defetto, siano annullate; e parimente siano revisti tutti li patronati da 40 anni in
giú, per aummento di dote o per nuova construzzione, e se non si troveranno in evidente utilità del
beneficio, siano rivocati, restituito a' patroni quello che da loro è dato.
10 Che ne' concilii provinciali, o diocesani siano elette quattro persone almeno con le debite
qualità, a quali siano commesse le cause ecclesiastiche, che s'averanno a delegare da' legati, noncii,
o dalla Sede apostolica, e le delegazioni ad altri fatte s'intendino sorrettizie.
11 Che li beni ecclesiastici non possino esser affittati con antecipato pagamento in
pregiudicio de' successori, né si possino affittar le giurisdizzioni ecclesiastiche, né gli affittuali
possino essercitarle; e le locazioni di cose ecclesiastiche, eziandio confermate dalla Sede apostolica,
fatte da 30 anni in giú per tempo longo, cioè a 29 o piú anni, si debbino giudicar dalla sinodo
provinciale fatte in danno della Chiesa.
12 Che li tenuti a pagar decime, per l'avvenire le paghino a chi sono obligati intieramente, e
chi le tiene debbia esser escommunicato, né possi esser assolto se non seguita la restituzione. Et
essorta tutti a far parte de' beni donatigli da Dio a' vescovi e parochi che hanno le chiese povere.
13 Dove la quarta de' funerali era solita pagarsi alla chiesa episcopale o parochiale da 40
anni in su, e poi è stata concessa ad altri luoghi pii, sia a quelle ritornata.
14 Proibisce a tutti li chierici di tener in casa o fuori concubine o altre donne sospette, dal
che, se ammoniti non s'asteneranno, siano privati della terza parte dell'entrate ecclesiastiche, e dopo
la seconda ammonizione privati di tutti e sospesi dall'amministrazione, e, perseverando, siano
privati d'ogni beneficio et inabili ad averne sino che non saranno dispensati; e se, dopo averle
lasciate, ritorneranno, siano anco scommunicati e la cognizione di queste cause appartenga a' soli
vescovi sommariamente. Ma li chierici non beneficiati siano da loro puniti di carcere, sospensione o
inabilità. E li vescovi medesimi, se caderanno in simil errore, non emendandosi dopo esser amoniti
dalla sinodo provinciale, siano sospesi e, perseverando, siano denonciati al papa.
15 Che li figli di chierici non nati di legitimo matrimonio non possino aver beneficio, né
ministerio nelle chiese dove li loro padri hanno o hanno avuto beneficio alcuno, né possino aver
pensioni sopra li beneficii che il padre ha o ha avuto; e se in qualche tempo padre e figliuolo hanno
beneficio nella medesima chiesa, il figliuolo sia tenuto resignarlo fra tre mesi, proibendo anco le
resignazioni che il padre farà ad un altro, acciò quello resigni il suo al figliuolo.
16 Che li beneficii curati non possino esser convertiti in semplici e ne' già convertiti, se il
vicario perpetuo non ha entrata conveniente, gli sia assignata ad arbitrio del vescovo.
17 Contra li vescovi che si portano bassamente co' ministri de' re, co' titolati e baroni, cosí
nella chiesa come fuori, e con troppo indegnità non solo gli danno luogo, ma ancora gli servono in
persona, la sinodo, detestando questo e rinovando li canoni spettanti al decoro della degnità
episcopale, commanda a' vescovi che se n'astengano et abbiano risguardo al proprio grado, cosí in
chiesa come fuori, raccordandosi d'esser pastori, e commanda anco a prencipi et a tutti gl'altri che
gli portino onor e riverenza debita a padri.
18 Che li canoni siano osservati da tutti indistintamente e non siano dispensati se non per
causa conosciuta con maturità e senza spesa.
19 Che l'imperatore, re et ogni altro prencipe, che concederanno luogo per duello tra
cristiani, siano escommunicati e privati del dominio del luogo dove il duello sarà commesso, se lo
riconoscono dalla Chiesa; e li combattenti e padrini siano escommunicati, confiscati li beni e
perpetuamente infami, e morendo nel duello, non siano sepolti in sacro; e quelli che lo
conseglieranno o in iure o in fatto, o persuaderanno al duello, e li spettatori siano scommunicati.
20 In fine fu letto il tanto essaminato capitolo della libertà ecclesiastica overo riforma de'
prencipi. In quello la sinodo ammonisce li prencipi secolari, confidando che concederanno la
restituzione delle raggioni sue alla Chiesa e redurranno li sudditi alla riverenza verso il clero e non
permetteranno che gl'ufficiali et inferiori magistrati violino l'immunità della Chiesa e persone
ecclesiastiche, ma insieme con essi prencipi saranno obedienti alle constituzioni del sommo
pontefice e concilii, determinando che tutte le constituzioni de' concilii generali et apostoliche a
favor delle persone ecclesiastiche e dell'ecclesiastica libertà siano osservate da tutti; ammonendo
l'imperatore, re, republiche e prencipi e tutti a venerar le cose che sono di raggione ecclesiastica e
non permetter che da' signori inferiori o da' magistrati o ministri suoi siano violate, acciò li chierici
possino star alla sua residenza et essercitarsi negl'officii senza impedimento, con edificazione del
popolo.
Dopo questo fu letto un decreto, del quale in nissuna congregazione s'era prima parlato, per
il quale la sinodo decchiarava che in tutti i decreti di riforma fatti sotto Paolo, Giulio e Pio in quel
concilio, con qualsivoglia parole e clausule, s'intendi sempre salva l'autorità della Sede apostolica.
[Seguito della medesima sessione: decreto delle indulgenze, di digiuni, cibi e feste, indice
de' libri proibiti]
Non potendosi espedire, per esser l'ora tarda, il rimanente in quella sessione, secondo la
deliberazione presa nella congregazione generale, il rimanente fu differito al giorno seguente, nel
quale, quantonque fosse già venuta nuova che il papa era megliorato et in tutto posto in sicuro della
vita, si fece la congregazione inanzi giorno; furono letti li decreti delle indulgenze, di finir il
concilio e di dimandar la conferma, et approvati da tutti.
Dopo il disnar si fece la sessione, nella quale fu letto il decreto delle indulgenze, che in
sostanza contiene: Cristo aver dato autorità di concederle alla Chiesa e lei aver usato da
antichissimo tempo, e per tanto la sinodo insegna e commanda che l'uso di quelle sia continuato
come salutifero al popolo cristiano et approvato da' concilii, et anatematiza chi dirà che siano inutili
o che la Chiesa non abbia potestà di concederle; e per servar l'antica consuetudine e proveder
gl'abusi, commanda che siano abolite tutte le questuazioni cattive, e quanto agl'altri abusi,
commanda a' vescovi che ciascun raccolga tutti quelli della propria chiesa e gli proponga nella
sinodo provinciale per riferirgli al papa che vi provegga. Intorno li digiuni e differenze de cibi et
osservazione di feste, essorta li vescovi ad osservar li commandamenti della Chiesa romana, et
intorno l'Indice, se ben quello era finito, non potendo la sinodo darne giudicio, ordina che tutto sia
portato al papa e rimesso al giudicio suo; l'istesso facendosi del catechismo, messal e breviario.
Publicò ancora un altro decreto che per li luoghi dissegnati agli oratori non s'intendi pregiudicato ad
alcuno. In fine pregò li prencipi ad adoperarsi che li decreti del concilio non siano violati
dagl'eretici, ma ricevuti et osservati da essi e da tutti; nel che, se nascerà difficoltà o bisogno di
decchiarazione, il papa, chiamati quelli che giudicherà a proposito dai luoghi dove la difficoltà
nascesse, overo congregando concilii generali o con altro modo provederà. Furono dopo recitati
tutti li decreti fatti sotto Paolo e Giulio in quel concilio, cosí in materia di fede come di riforma. Per
ultima cosa, il secretario andato in mezo, interrogò se piaceva a' padri che fosse posto fine a quella
sinodo e, per nome di lei, da' legati e presidente dimandata al sommo pontefice Pio IV conferma di
tutte le cose decretate sotto Paolo e Giulio e sotto la Santità Sua, e fu risposto, non ad uno ad uno
per voti, ma da tutti insieme in una voce: «Placet». Il cardinal Morone, come primo presidente,
concesse a ciascuno che s'era ritrovato in concilio et a tutti li presenti alla sessione indulgenza
plenaria, e benedisse il concilio e licenziò tutti che, dopo aver reso grazie a Dio, andassero in pace.
[Acclamazioni in concilio. Sottoscrizzione de' decreti]
Fu antico costume delle chiese orientali di trattar le cose de' concilii nell'adunanza publica di
tutti, e, venendo occasione, ben spesso occorrevano delle acclamazioni popolari, et alcune volte
tumultuose, le quali però finivano in concordia; e nel fine li vescovi, trasportati per l'allegrezza
causata dalle concordi deliberazioni, passavano ad acclamazioni in lode degl'imperatori, che
avevano congregato il concilio e favorito, in commendazione della dottrina dal concilio decchiarata,
in preghiere a Dio per la continua divina assistenza alla santa Chiesa, per la salute degl'imperatori e
per la sanità e prosperità de' vescovi; le quali non erano meditate, ma secondo che lo spirito eccitava
alcun vescovo piú zelante a prorumper in qualche d'uno di quei concetti opportunamente, cosí il
commun concorso gl'acclamava. Questo fu anco immitato in Trento, non però dando luogo a spirito
presentaneo d'alcuno, ma con aver prima meditato quello che doveva esser proposto e risposto, e
recitandolo de scritto. Il cardinal di Lorena si prese cura non solo d'esser principale a componer le
acclamazioni, ma anco d'intonarle; il che universalmente fu inteso per una leggierezza e vanità e
poco condecente ad un tal prelato e prencipe far l'officio che piú tosto conveniva a' diaconi del
concilio, non che ad un arcivescovo e cardinale tanto principale. In quelle intonando il cardinale e
rispondendo li padri, fu pregato longa vita al papa et eterna felicità a Paolo e Giulio; e similmente
eterna memoria a Carlo V et a' re protettori del concilio; e longa vita all'imperatore Ferdinando et a'
re, prencipi e republiche; longa vita e molte grazie a' legati e cardinali; vita e felice ritorno a'
vescovi, commendata la fede della santa general tridentina sinodo come fede di san Pietro, de' padri
e degl'ortodossi: in una sola parola detto anatema a tutti gl'eretici in general, senza specificare né
antichi, né moderni.
Fu commandato sotto pena di scommunica a tutti li padri che sottoscrivessero di mano
propria a' decreti. Il giorno seguente, che fu la dominica, fu consummato in questo, e per farlo
ordinatamente, si fece quasi una congregazione, e le sottoscrizzioni furono di legati 4, cardinali 2,
patriarchi 3, arcivescovi 25, vescovi 268, abbati 7, procuratori d'assenti 39, generali d'ordini regolari
7.
E se ben già era stato deliberato che gl'ambasciatori sottoscrivessero dopo li padri, fu presa
contraria risoluzione allora per piú rispetti: l'uno fu perché il non esservi ambasciatore francese,
quando fossero vedute le sottoscrizzioni degl'altri e non quella, sarebbe stato una decchiarazione
che ' francesi non ricevessero il concilio; l'altro perché il conte di Luna si lasciava intender di non
sottoscriver assolutamente, ma con riserva, per non aver il re acconsentito al fine del concilio. E
publicarono li legati che, non essendo costume di sottoscriver li decreti se non da chi ha voce
deliberativa, sarebbe stata cosa insolita che ambasciatori sottoscrivessero.
In Roma, quando successe l'infermità del pontefice, temendo tutti della vita sua, fu molta
confusione nella corte, perché, non avendosi ancora visto morte di pontefice essendo il concilio
aperto, si temeva grandemente quello che potesse succeder: avevano l'essempio del concilio
constanziense, il quale nell'elezzione aggionse altri prelati a' cardinali, e temevano che qualche cosa
simile o peggiore non avvenisse; e se ben l'ambasciatore di Spagna affermava l'ambasciatore in
Trento e li prelati spagnuoli aver commissione che l'elezzione fosse de' cardinali, con tutto ciò,
atteso il poco numero di questi, le parole non davano piena confidenza. Fu grand'allegrezza quando
s'intese il papa ristorato, parendo d'esser usciti di gran pericolo, la qual s'aummentò sopra modo
quando s'intese il fine del concilio. Il pontefice ordinò per questo una solenne processione per
ringraziar Dio di tanto beneficio. In consistoro mostrò il gran contento che n'aveva; disse di volerlo
confermare et anco aggiongergli altre riforme, di voler mandar 3 legati, in Germania, Francia e
Spagna per essortar ad esseguir li decreti, per conceder le cose oneste e dar suffragio nelle cose de
iure positivo.