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venerdì 1 maggio 2015

Paolo Sarpi: condizione di degrado sacramentale della Chiesa pretridentina

In fine della congregazione si propose di raccogliere gli abusi in questa stessa
materia co' rimedii per estirpargli, e nelle seguenti congregazioni furono raccontati
molti: che il santissimo sacramento in alcune chiese particolari non è conservato et in
altre è tenuto con grand'indecenza; che quando è portato per la strada, molti non
s'ingenocchiano et altri non degnano manco scoprirsi il capo; che in alcune chiese è
tenuto per cosí longo spacio, che vi nascono delle putredini; che nel ministrar la santa
communione è usata da alcuni parochi grand'indecenza, non avendo pur un panno che il
communicante tenga in mano: quello che piú importa, i communicanti non sanno quello
che ricevono, né hanno instruzzione alcuna della degnità, né del frutto di questo
sacramento; che alla communione sono admessi concubinarii, concubine et altri enormi
peccatori, e molti che non sanno il Pater noster, né l'Ave Maria; che alla communione
sono dimandati danari sotto nome d'elemosina, e, peggio di tutto, in Roma vi è
un'usanza che chi ha da communicarsi tiene in mano una candela accesa con qualche
danaro infisso dentro, il qual con la candela, dopo la communione, resta al sacerdote, e
chi non porta la candela, non è admesso alla communione. Per rimedio di parte di questi
e, altri abusi furono formati cinque canoni con un bellissimo proemio: ne' quali si
statuiva che monstrandosi il sacramento nell'altare o portandosi per la via, ogni uno
debbi ingenocchiarsi e scoprirsi il capo; che in ogni chiesa parochiale si debbe servar il
sacramento e rinovarlo ogni 15 giorni, e far arder inanzi a lui giorno e notte una
lampada; che sia portato agl'infermi dal sacerdote in abito onorevole e sempre con lume;
che i curati insegnino a' suoi popoli la grazia che si riceve in questo sacramento et
esseguiscano contra loro le pene del capitolo Omnis utriusque sexus; che gl'ordinarii
debbino aver cura dell'essecuzione, castigando i trasgressori con pene arbitrarie, oltra le
statuite da Innocenzio III nel capitolo Statuimus, e da Onorio III nel capitolo Sane.

martedì 22 luglio 2014

Paolo Sarpi : i "Padri Conciliari" discutono sui preti sposati e sulla dispensa al celibato (Istoria Concilio Tridentino)

Esamine e condanna del quinto e sesto articolo del celibato, che rimette su le
dispense


Il giorno 4 di marzo si diede principio di parlar sopra la terza classe, e quanto al
quinto articolo tutti furono conformi che fosse eretico e dannabile; del sesto parimente
non vi fu differenza: tutti convennero che fosse eresia. Vi fu disparere, perché una parte
diceva che, quantonque tra la Chiesa orientale et occidentale vi fosse differenza, perché
questa non ammetteva al sacerdozio, né agl'ordini sacri, se non persone continenti, e
quella anco ammetteva li maritati, nondimeno nissuna Chiesa mai concesse che i
sacerdoti si potessero maritare, e che questo s'ha per tradizione apostolica e non per
raggion del voto, né per alcuna constituzione ecclesiastica, e però che conveniva dannar
per eretici assolutamente tutti quelli che dicevano esser lecito a' sacerdoti maritarsi,
senza restringersi agl'occidentali e senza far menzione né di voto, né di legge nella
Chiesa, e questi non concedevano che si potesse per causa alcuna dispensare li sacerdoti
al matrimonio; altri dicendo che il matrimonio era vietato a due sorti di persone e per
due diverse cause: a' chierici secolari per l'ordine sacro, per legge ecclesiastica; et a'
regolari per il voto solenne; che la proibizione del matrimonio per constituzion della
Chiesa può esser dal pontefice levata, e restando ancora quella in piedi, il pontefice può
dispensarlo. Allegavano gl'essempii de' dispensati e l'uso dell'antichità che, se un
sacerdote si maritava, non separavano il matrimonio, ma solo lo rimovevano dal
ministerio; il che fu continuamente osservato sino al tempo d'Innocenzo II, quale, primo
di tutti li pontefici, ordinò che quel matrimonio s'avesse per nullo. Ma per quel che
tocca gl'obligati alla continenza per voto solenne, essendo questo de iure divino,
dicevano non poter il pontefice dispensarvi. Allegavano in ciò il luogo d'Innocenzo III,
il quale affermò che l'osservazione della castità e l'abdicazione della proprietà sono cosí
aderenti agl'ossi de' monachi, che manco il sommo pontefice può dispensarci;
soggiongendo appresso l'opinione di san Tomaso e d'altri dottori, li quali asseriscono
che il voto solenne è una consecrazione dell'uomo a Dio, e non potendo alcun fare che
la cosa consecrata possi ritornar agl'usi umani, non può parimente fare che il monaco
possi ritornar all'uso del matrimonio, e che tutti li scrittori catolici condannano d'eresia
Lutero e li seguaci, per aver detto che il monacato è invenzione umana, et asseriscono
che sia di tradizione apostolica, a che diametralmente ripugna il dire che il pontefice
possi dispensare.
Altri defendevano che anco con questi poteva il pontefice dispensare, e si
maravegliavano di quelli che, concedendo la dispensa de' voti semplici, negavano quella
de' solenni, quasi che non fosse chiarissimo per la determinazione di Bonifacio VIII che
ogni solennità è de iure positivo, valendosi a punto del medesimo essempio delle cose
consecrate per provar la loro sentenza; perché, sí come non si può far che una cosa
consecrata, rimanendo consecrata, sia adoperata ad usi umani, ma ben si può levar la
consecrazione e farla profana, onde lecitamente torni ad ogni uso promiscuo, cosí
l'uomo consecrato a Dio per il monacato, restando consecrato, non può applicarsi al
matrimonio, ma levatogli il monacato e la consecrazione che nasce dalla solennità del
voto, la qual è de iure positivo, niente osta che non possi usar la vita commune
degl'uomini. Adducevano luoghi di sant'Agostino, da' quali manifestamente appare che
nel suo tempo qualche monaco si maritava. E se ben era stimato che facendolo peccasse,
nondimeno il matrimonio era legitimo, e sant'Agostino riprende quelli che lo
separavano.
Si trascorse a parlar se fosse ben in questi tempi dispensare overo levar il
precetto della continenza a' sacerdoti; e questo perché il duca di Baviera, avendo
mandato a Roma per ricercar dal pontefice la communione del calice, aveva insieme
ricchiesto che fosse concesso a' maritati di poter predicare; sotto il qual nome
s'intendeva tutto il ministerio ecclesiastico, essercitato da' parochi nella cura d'anime.
Furono dette molte raggioni a persuader che fosse concesso, li quali si risolvevano in
due: nel scandalo che davano li sacerdoti incontenenti e nella penuria di persone
continenti, atte ad essercitar il ministerio; et era in bocca di molti quel celebre detto di
papa Pio II, che il matrimonio per buona raggione fu levato dalla Chiesa occidentale a'
preti, ma per raggione piú potente conveniva renderglielo. Da quelli di contrario parere
si diceva che non è da savio medico guarir un male con causarne un peggiore. Se li
sacerdoti sono incontenenti et ignoranti, non per questo s'ha da prostituir il sacerdozio ne' maritati:
 e qui erano allegati tanti luoghi de' pontefici, li quali però non lo permisero,
che dicevano esser impossibile attender alla carne et allo spirito, essendo il matrimonio
un stato carnale. Che il vero rimedio era con l'educazione, con la diligenza, co' premii e
con le pene proveder continenti e litterati per questo ministerio; ma tra tanto, per
rimedio d'incontinenza, non ordinare se non persone provate di buona vita e, per la
dottrina, far stampar omiliarii e catechismi in lingua germanica e francese, formati da
uomini dotti e religiosi, li quali s'avessero da legger al popolo cosí de scritto e col libro
in mano da' sacerdoti imperiti; col qual modo li parochi, se ben insufficienti, potrebbero
satisfar al popolo.
Furono biasmati li legati d'aver lasciato disputar questo articolo come pericoloso,
essendo cosa chiara che coll'introdozzione del matrimonio de' preti si farebbe che tutti
voltassero l'affetto et amor loro alle mogli, a' figli e, per consequenza, alla casa et alla
patria, onde cesserebbe la dependenza stretta che l'ordine clericale ha con la Sede
apostolica, e tanto sarebbe conceder il matrimonio a' preti, quanto distrugger la ierarchia
ecclesiastica e ridur il pontefice che non fosse piú che vescovo di Roma. Ma li legati si
scusavano che, per compiacer il vescovo di Cinquechiese, il qual aveva ricchiesto
questo non solo per nome del duca, ma dell'imperatore ancora, e per render li cesarei piú
facili a non far grand'insistenza sopra la riforma che piú importava, erano stati constretti
compiacerlo.
I francesi, veduto che l'opinione piú commune era che un prete potesse esser
dispensato al matrimonio, si congregarono insieme per consultare se era opportuno
dimandar la dispensa per il cardinale di Borbone, come Lorena e gl'ambasciatori
avevano in commissione; e Lorena fu di parer di no, con dire che senza dubio nel
concilio vi sarebbe difficoltà nel persuader che la causa fosse raggionevole et urgente,
poiché per aver posterità non era necessario, essendo il re giovane, con doi fratelli et
altri prencipi del sangue catolici, e per aver governo mentre il re pervenisse alla
maggiorità, lo poteva far restando nel clero. Che per le differenze che sono tra francesi
et italiani, cosí per causa della riforma, come per l'autorità del papa e de' vescovi, quelli
che tenevano opinioni contrarie alle loro studiosamente si sarebbono opposti anco a
questa dimanda; che meglio era voltarsi al papa, overo aspettar meglior occasione et
esser assai per quel tempo l'operare che non sia stabilita dottrina che possi pregiudicare.
Fu stimato da alcuni che Lorena nel suo interno non avesse caro che Borbon si
maritasse, perché potesse ciò succeder con emulazione e diminuzione di casa sua; ma ad
altri non pareva verisimile: prima, perché per questa via si levava ogni speranza a
Condé, del quale egli molto piú si diffidava; anzi, che il passar Borbon allo stato
secolare fosse sommamente desiderato da esso Lorena, il qual, levato il Borbone dal
clero, sarebbe restato il primo prelato di Francia, et in occasione di patriarca, che egli
molto ambiva, sarebbe a lui indubitatamente toccato, dove che essendo Borbon prete,
non era possibile pensar di farlo posporre.

Paolo Sarpi : discussione conciliare se la messa sia sacrificio di Cristo o solamente un ricordo (Istoria Concilio Tridentino)

Nell'esamine degli articoli è provato che la messa è sacrificio, ma con gran
diversità di pareri


Nelle discussioni de' teologi furono uniformi tutti in condannar d'eresia le
openioni de' protestanti ne' proposti articoli, e brevemente s'ispedivano degl'altri:
longhissimi furono i discorsi di ciascuno in provare che la messa sia sacrificio, nel quale
s'offeriva Cristo sotto le specie sacramentali: le raggioni principali da loro usate erano
che Cristo è sacerdote secondo il rito di Melchisedech, ma Melchisedech offerí pane e
vino, adonque il sacerdozio de Cristo conviene che sia con sacrificio di pane e vino. Di
piú, l'agnel pascale fu vero sacrificio e quello è figura dell'eucaristia, onde quella ancora
conviene che sia vero sacrificio. Appresso per la profezia di Malachia, per bocca del
quale Dio rifiuta il sacrificio degl'ebrei, dicendo esser il nome suo divino, grande fra le
genti et in ogni luogo offerirsi al suo nome oblazione monda, che d'altro non si può
intender che sia offerto a Dio in ogni luogo e da tutte le genti; diverse altre congruenze e
figure del Vecchio Testamento furono allegate, facendo fondamento chi sopra una, chi
sopra un'altra. Del Testamento Nuovo era addotto il luogo di san Gioanni dove Cristo
alla samaritana insegnò esser venuta l'ora quando il Padre sarà adorato in spirito e
verità, essendo che adorar nella divina Scrittura significa sacrificare, come per molti
luoghi apparisce; e la samaritana del sacrificio interrogò, che da' giudei non si poteva
offerir se non in Gierusalem e da samaritani era stato offerto in Garizim, dove allora
Cristo era. Onde per necessità, dicevano, conviene intendere il luogo d'una adorazione
esterna, publica e solenne, che altra non era se non l'eucaristia. Era anco provato per le
parole da Cristo dette: «Questo è il mio corpo che per voi è dato, che per voi è fratto;
questo è il mio sangue che per voi è sparso»: adonque nell'eucaristia vi è frattura di
corpo et effusione di sangue, che sono azzioni di sacrificio. Sopratutto era fatto gran
fondamento sopra le parole di san Paolo, che mette nel genere medesimo l'eucaristia co'
sacrificii degl'ebrei e de' gentili, dicendo che per quello si partecipa il corpo e sangue di
Cristo, sí come nell'ebraismo chi mangia l'ostie è partecipe dell'altare, e non si può bere
il calice del Signore, né esser partecipe della mensa sua, e bere il calice de' demonii e
partecipar della mensa di quelli. Ma che gl'apostoli fossero da Cristo ordinati sacerdoti,
lo provavano chiaro per le parole dette loro per nostro Signore: «Fate questo in mia
memoria». Per maggior prova erano addotte molte autorità de' padri, che tutti nominano
l'eucaristia sacrificio, overo con termini piú generali attestano che nella Chiesa si
offerisce sacrificio. Una parte aggiongeva appresso esser la messa sacrificio anco perché
Cristo nella cena se stesso offerí, e quella raggione portava per principale e provava il
suo fondamento prima perché, dicendo chiaro la Scrittura che Melchisedech offerí pane
e vino, Cristo non sarebbe stato sacerdote secondo quell'ordine, se non l'avesse offerto
esso ancora; e perché Cristo disse il sangue suo nell'eucaristia esser confermativo del
Nuovo Testamento, ma il sangue confermativo del Vecchio fu nella sua instituzione
offerto: perilché segue in consequenza necessaria che Cristo egli ancora l'offerisse.
Argomentavano ancora che avendo detto Cristo: fate questo in mia memoria, se egli non
avesse offerto, noi non potressimo offerire, e dicevano li luterani non aver altro
argomento per provar la messa non esser sacrificio, se non perché Cristo non ha offerto,
e perciò esser pericolosa quella opinione, come fautrice della dottrina ereticale. Piú
efficacemente era ancora provata per quello che la Chiesa canta nell'ufficio del corpo
del Signore, dicendo: «Cristo, sacerdote eterno secondo l'ordine di Melchisedech», ha
offerto pane e vino. E nel canone del messale ambrosiano si dice che, instituendo una
forma di perpetuo sacrificio, egli prima ha offerto se stesso ostia e primo ha insegnato
ad offerirla. Si portavano poi diverse autorità de' padri per comprobazione dell'istesso.
Dall'altra parte, non con minor asseveranza, era detto che Cristo nella cena
avesse commandato l'oblazione da farsi perpetuamente nella Chiesa dopo la morte sua,
ma lui non aver offerto esso medesimo, perché la natura di quel sacrificio non lo
comportava; e per prova di questo dicevano che sarebbe stata superflua l'oblazione della
croce, poiché per quella della cena precedente sarebbe stato riscosso il genere umano.

Che il sacrificio dell'altare fu instituto da Cristo per rammemorazione di quello che egli
offerí in croce, ma non si può ramemorar altro che cosa passata; perilché l'eucaristia non
poté esser sacrificio inanzi l'oblazione di Cristo in croce. Allegavano ancora che né la
Scrittura, né il canone della messa, né concilio alcuno ha mai detto che Cristo offerisse
se stesso nella cena; et i luoghi che gl'altri allegavano de' padri, questi mostravano
doversi intender dell'oblazione fatta in croce. Concludevano: avendosi a deliberare la
messa esser sacrificio, come veramente era, si poteva abondantemente farlo per le
efficacissime prove della Scrittura e padri, senza voler anco aggiongervi prove non
sussistenti. Questa differenza non fu tra molti e pochi, ma divise cosí i teologi come i
padri in parti quasi pari e fu occasione di qualche contenzione. I primi passarono a dire
che l'altra opinione era errore e chiedevano un anatematismo che gl'imponesse silenzio,
con dannar d'eresia chi dicesse Cristo non aver se stesso offerto nella cena sotto le
specie sacramentali; gl'altri in contrario dicevano che non era tempo di fondarsi sopra
cose incerte e sopra nuove opinioni, non udite e non pensate dall'antichità, ma doversi
star sopra il chiaro e certo, e per la Scrittura e per i padri, cioè che Cristo ha
commandato l'oblazione. Tutto il mese di luglio fu consumato da' 17 che parlarono
sopra i primi articoli; sopra gl'ultimi in pochi giorni si spedí piú tosto con ingiurie contra
protestanti che con raggioni. Non è ben narrare li particolari, se non alcuni pochi
notabili.
Nella congregazione de' 24 luglio, la sera, Giorgio d'Ataide, teologo del re di
Portogallo, si diede a destrugger tutti li fondamenti degl'altri teologi fatti per provare il
sacrificio della messa con la Scrittura divina; e prima disse non potersi metter in dubio
se la messa sia sacrificio, perché tutti i padri l'hanno con aperte parole detto e replicato
in ogni occasione, et incomminciò da' latini e greci della Chiesa antica de' martiri, e
passò di tempo in tempo sino a' nostri, affermando che nissun scrittor cristiano vi sia
che non abbia chiamato l'eucaristia sacrificio; però doversi concluder per certo che per
tradizione degl'apostoli cosí sia insegnato; la forza della quale è abondantissima et
efficacissima per far articoli di fede, come questo concilio ha da principio insegnato. Ma
questo vero e sodo fondamento veniva debilitato da chi ne faceva de aerei, volendo
trovar nella Scrittura quello che non si trovava, dando occasione agl'avversarii di
calunniare la verità, mentre che la veggono fondare in arena cosí instabile: e cosí
dicendo, passò ad essaminare ad uno ad uno li luoghi del Vecchio e Nuovo Testamento
portati da' teologi, mostrando che da nissun si poteva cavar senso espresso di sacrificio.
Al fatto di Melchisedech rispose Cristo esser sacerdote di quell'ordine quanto all'esser
unico et eterno senza precessore, senza padre, senza madre, senza genealogia: e di
questo farne troppo chiara fede l'Epistola agl'ebrei, dove parlando san Paolo al longo di
questo luogo, tratta l'eternità e singularità del sacerdozio, e di pane e vino non fa
menzione. Raccordò la dottrina d'Agostino, che dove è luogo proprio di dire una cosa e
non è detta, si cava argomento dalla autorità negativo. Dell'agnel pascal disse non
doversi presuppor per cosa cosí evidente che fosse sacrificio, e se alcun pigliasse
impresa di provar il no, forse converrebbe cedergli la vittoria; et ancora esser troppo
dura metafora a farlo tipo dell'eucaristia e non piú tosto della croce; lodò quei teologi
che, avendo portato il luogo di Malachia, gl'avevano aggionto quel di san Gioanni
d'adorar in spirito e verità, perché in vero formalissimamente l'uno e l'altro dell'istessa
cosa parlavano e scambievolmente si decchiaravano; non doversi far difficoltà sopra la
parola «adorare», essendo cosa certa che comprende anco il sacrificio, e la samaritana la
prese nel suo generico significato; ma quando Cristo soggionse che Dio è spirito e
conviene adorarlo in spirito, chi non vuol impropriare tutte le cose non dirà mai che un
sacramento, che consta del visibile et invisibile, sia puro spirituale, ma ben composto di
questo e del segno elementare; però, che volendo alcuno interpretare ambi quei luoghi
della interna adorazione, non potrà esser convinto et averà per sé la verisimilitudine,

essendo piana l'applicazione che questa è offerta in ogni luogo e da tutte le genti e che è
pura spirituale, sí come Dio è puro spirito. Parimente seguí dicendo che le parole:
«Questo è il mio corpo che per voi è dato, et il sangue che per voi è sparso», hanno piú
piana intelligenza se si riferiscono al corpo e sangue nell'esser naturale che nell'esser
sacramentale; come dicendo: «Cristo è la vite vera che produce il vino», non s'intende la
vite significativa, ma la reale produce il vino, cosí: «Questo è il mio sangue che è
sparso», non dice che il sangue sacramentale e significante, ma il naturale e significato è
sparso. E quello che san Paolo dice del participar il sacrificio degl'ebrei e della mensa
de demonii, intese i riti da Dio per Moisè instituiti e quei che da' gentili erano usati nel
sacrificare: non da ciò si prova l'eucaristia sacrificio; esser chiaro appresso Moisè che,
nei sacrificii votivi, la vittima era tutta presentata a Dio et una parte d'essa abbruggiata,
e questo era il sacrificio; del rimanente, parte era del sacerdote et il resto dell'offerente,
e cosí questo come quello lo mangiava con chi a lui pareva, né quel si chiamava
sacrificare, ma participar il sacrificato. I gentili immitavano l'istesso; anzi, la parte che
non era consummata nell'altare si mandava da alcuni a vendere, e questa è la mensa che
non è altare. Il piano senso di san Paolo è: sí come gl'ebrei mangiando la parte toccante
all'offerente, che è reliquia del sacrificio, participano dell'altare, e li gentili parimente,
cosí noi, mangiando l'eucaristia, participiamo il sacrificio della croce; e questo è a punto
quello che Cristo disse: «Fate questo in mia memoria», e quel di san Paolo: «Sempre
che mangierete questo pane e beverete questo calice, professarete il Signore esser per
voi morto». Ma per quello che si dice gl'apostoli esser ordinati sacerdoti per offerir
sacrificio con le parole del Signore, poiché egli dice: fate questo, senza dubio
s'intendeva quello che avevano veduto lui a fare; adonque bisognerebbe che constasse
prima che egli avesse offerto, ma non essendo questo certo et essendo le openioni de'
teologi varie e confessando ciascuno che l'una e l'altra è catolica, quelli che negano
Cristo aver offerto non poter concludere per quelle parole aver commandato l'oblazione.
Portò poi gl'argomenti de' protestanti, con quali provavano che l'eucaristia non è
instituita per sacrificio, ma per sacramento, e concluse che non si poteva dir che la
messa fosse sacrificio, se non con fondamento di tradizione; essortando a fermarsi in
questa e non render la verità incerta per studio di voler troppo provare. Discese poi alla
risoluzione degl'argomenti de' protestanti, et in quello rese tutti gl'audienti mal
sodisfatti, avendo recitato gl'argomenti con forza et apparenza e soggiongendo risposte
con debolezza, sí che piú tosto gli confermavano; il che fu ascritto da alcuni alla brevità
del tempo che gli restava, sopravenendo la notte, da altri al non sapersi lui esprimere, e
da' piú sensati, perché quelle risoluzioni non sodisfacevano lui medesimo: del che
essendo molta mormorazione fra i padri, Giacomo Paiva, un altro teologo portughese,
nella seguente congregazione replicò tutti gl'argomenti da quell'altro fatti e gli risolse
con sodisfazzione degl'audienti e con iscusare il collega, affermando che l'istessa fu la
mente sua. E gl'ufficii che dagl'ambasciatori e da' prelati portoghesi furono fatti in
testificar la bontà e sana dottrina del teologo ne' giorni seguenti, resero le menti de'
legati sincere verso di lui; però egli pochi giorni dopo partí, né si vede scritto ne'
cataloghi de teologi, se non in quelli che furono stampati in Brescia e Riva inanzi questo
tempo.
Il dí 28 luglio Gioanni Cavillone giesuita, teologo del duca di Baviera, parlò con
molta chiarezza sopra gl'articoli, rapresentando il tutto come senza difficoltà, non in
maniera d'essamine o discussione, ma con forma di mover gl'affetti di pietà. Narrò molti
miracoli succeduti in diversi tempi; affermò che dall'età degl'apostoli sino al tempo di
Lutero mai nissun dubitò; allegò le liturgie di san Giacomo, di san Marco, di san Basilio
e Crisostomo. Quanto alle opposizioni de' protestanti, disse che erano state a bastanza
risolute, ma anco senza quello bastava per tenerle fallaci il venir da persone alienate
dalla Chiesa, et in fine essortò li legati a non permettere che in qual materia si voglia

fossero proposti argumenti d'eretici, senza soggiongergli evidentissima risoluzione, e
chi non la sa portare, se n'astenga dal riferirgli, ricercando la vera pietà che le raggioni
contrarie alla dottrina della Chiesa non siano riferite se non preparando l'animo prima
degl'auditori con narrare la perversità et ignoranza degl'inventori, e che agl'argomenti
loro non vengono date orecchie, se non da genti di poco cervello; e poi narrandogli
quanto piú succintamente si può e senza le prove intermedie, soggiongendo la risposta
piana e ben amplificata, e quando pare che alcuna cosa gli manchi, portando la disputa
in altra materia, acciò non si generi qualche scrupolo negl'animi degl'audienti, massime
essendo prelati e pastori della Chiesa. Piacque grandemente il discorso alla maggior
parte de' prelati e fu lodato per pio e catolico, e che meritasse un decreto della sinodo
che commandasse cosí a tutti i predicatori, lettori e scrittori. Non però all'ambasciatore
del suo prencipe diede molta sodisfazzione, il quale, dopo la congregazione, in presenza
degl'imperiali che facevano complemento col teologo per la grata concione, disse che
veramente meritava d'esser commendato d'aver insegnato, anco nella semplecità della
dottrina cristiana, sapersi valer della sofistica.
Degl'ultimi teologi a parlare fu fra Antonino da Valtelina dominicano, il quale
sopra gli 6 ultimi articoli de' riti disse esser cosa chiara per l'istorie che ogni chiesa
anticamente aveva il suo rituale particolar della messa, introdotto piú per uso et a
giornata, che con deliberazione e decreto; che le picciol chiese si sono accommodate
alle metropolitane o vicine maggiori. Il rito romano, per gratificar a' pontefici, è stato
ricevuto in assai provincie; con tutto ciò restano ancora molte chiese co' suoi
differentissimi dal romano. Discese a parlar del mozarabo, dove intervengono e cavalli e
schermi alla moresca, che tutti hanno misterio e significato grande; e questo è tanto
differente dal romano, che se in Italia si vedesse, non sarebbe stimato messa. Che resta
ancora in Italia il rito milanese, molto differente in parti principalissime dal romano. Ma
esso romano ancora ha fatto mutazioni grandissime, le quali vederà chiaro chi leggerà
l'antico libro che ancora resta, inscritto Ordo romanus, e non solo ne' tempi antichi, ma
anco da pochi secoli in qua; affermò che il vero rito romano già da 300 anni non è
quello che adesso si serva da' preti in quella città, ma quello che dall'ordine di san
Dominico è ritenuto. Quanto alle vesti, vasi et altri paramenti, cosí de' ministri come
d'altari, non solo dalla lettura de' libri, ma dalle sculture e pitture vedersi li presenti esser
cosí trasformati, che se ritornassero i vecchi al mondo, non gli riconoscerebbono.
Perilché concludeva che il restringersi ad approvar li riti che la Chiesa romana usa,
potrebbe esser ripreso come una condanna dell'antichità e degl'usi delle altre Chiese, e
potrebbe ricever anco piú sinistre interpretazioni. Consegliò che s'attendesse
all'essenziale della messa, e che di queste altre cose non si facesse menzione. Tornò a
mostrar la differenza notabile del rito presente servato in Roma a quello che è descritto
nell'Ordo romanus, e fece, tra gl'altri particolari, grand'insistenza che in quello la
communione de' laici fosse con ambe le specie, e passò ad essortare a concederla anco
al tempo presente. Il discorso agl'astanti dispiacque, ma il Cinquechiese pigliò la
protezzione sua con dire che il frate non aveva detto cosa falsa, né si poteva imputargli
d'aver dato scandalo, perché non aveva parlato né al popolo, né ad idioti, ma in una
corona de dotti, dove nissuna cosa vera può dar mala edificazione, e chi voleva dannar il
frate per scandaloso o temerario, dannava prima se stesso per incapace della verità.

sabato 2 novembre 2013

Paolo Sarpi : contrasto tra domenicani e francescani in materia sacramentale (Istoria Concilio Tridentino)

[Contrasto tra' domenicani e' francescani]

Ma convenendo tutti in questo, erano differenti, perché i dominicani asserivano che,
quantonque la grazia sia una qualità spirituale creata immediate da Dio, nondimeno ne' sacramenti è
una virtú istromentale et effettiva, la quale causa nell'anima una disposizione per riceverla; e per
tanto si dice che contengono la grazia; non che sia in loro come in un vaso, ma come l'effetto è nella
sua causa, adducendo un sottil essempio: sí come il scalpello è attivo non solo nello scagliare la
pietra, ma anco nel dar forma alla statua. I francescani dicevano non potersi capire come Dio, causa
spirituale, per un effetto spirituale, che è la grazia, adoperi istromento corporeo: assolutamente
negavano ogni virtú effettiva o dispositiva ne' sacramenti, dicendo che l'efficacia loro d'altro non
viene, se non perché Dio ha promesso che qualonque volta sarà ministrato il sacramento, egli
donerà la grazia; perilché si dice contenerla, come in segno efficace, non per virtú che sia in lui, ma
per la divina promissione d'un'infallibil assistenza a quel ministerio; il quale per ciò è causa, perché
quello posto, segue l'effetto, non per virtú che in lui sia, ma per promessa divina di donar la grazia
allora, sí come il merito si dice causa del premio, non per attività alcuna. Il che non solo provavano
per l'autorità di Scoto e di san Bonaventura, loro teologi, ma per quella anco di san Bernardo, qual
dice che si riceve la grazia per i sacramenti, sí come il canonico s'investe per il libro et il vescovo
per l'anello. La prolissità con che erano esposte le raggioni da ambe le parti era grande, e non
minore l'acrimonia. Censuravansi fra loro. I dominicani dicevano che l'altro parer era prossimo al
luterano; e gli altri che il loro, essendo impossibile, dava materia agli eretici di calumniare la
Chiesa. Non fu possibile ad alcuni buoni prelati mettere concordia, con dire che, essendo concordi
nella conclusione che i sacramenti contengono e sono causa della grazia, poco importasse dirlo piú
in un modo che nell'altro; anzi, che meglio fosse, non descendendo ad alcuno d'essi, stare nell'altro
universale: replicando i frati che non si trattava di parole, ma dello stabilire o dell'annichilare i
sacramenti. Non si sarebbe fatto fine, se il legato Santa Croce non avesse ordinato che si passasse al
rimanente, e che in fine si sarebbe tornato a questo passo, et essaminato s'era necessario decider il
ponto o tralasciarlo.
Da' legati furono chiamati i generali degli ordini e pregati a far ufficio co' suoi di trattare con
modestia e carità, e non con tanto affetto alla setta propria, mostrando che non erano chiamati se
non per trattare contra l'eresie, al che era molto contrario il farne nascere di nuove con le dispute. E
fu anco da loro dato conto a Roma, e mostrato quanto fosse pericolosa la libertà che i frati
s'assumevano, e dove potesse terminare; e posto in considerazione al pontefice che una
moderazione fosse necessaria: perché andando fama di quelle dissensioni e delle censure che una
parte prononciava contra l'altra, non poteva se non nascere scandalo e poca riputazione del concilio.
Il quinto articolo fu stimato da tralasciare, come deciso nella precedente sessione. Ma frate
Bartolomeo Miranda raccordò che Lutero, per quel suo paradosso che i sacramenti non danno la
grazia se non eccitando la fede, cavò anco conclusione che siano d'ugual virtú quei della Legge
vecchia e dell'evangelica, la qual opinione era da condannare come contraria alla dottrina de' padri e
della Chiesa, avendo tutti detto che i sacramenti vecchi erano segni solamente della grazia, ma i
nuovi la contengono e la causano. Alla conclusione nissun contradisse; ma i francescani
proponevano che non si dovesse dire della Legge vecchia, ma della mosaica, atteso che la
circoncisione essa ancora causava la grazia, ma non era sacramento mosaico, la qual da Cristo fu
anco detto essere non da Moisè, ma da' padri; et anco perché altri sacramenti inanzi Abrahamo
conferivano e causavano la grazia. Replicando i dominicani che san Paolo disse chiaro Abrahamo
aver ricevuto la circoncisione solo in segno, che essendo egli il primo a chi fu data, tanto vuol dire
quanto che in segno solamente è instituita, e sopra il modo di causar e contenere la grazia,
tornavano le questioni in campo. Fra Gregorio di Padoa in questo proposito disse essere cosa chiara
appresso i dialettici che le cose del medesimo genere hanno identità tra loro e differenza. Se i
sacramenti vecchi e nostri avessero sola differenza, non sarebbono tutti sacramenti, se non con
equivocazione; se solo convenienza, sarebbono in tutto l'istessa cosa. Però esser d'avvertire di non
metter difficoltà in cose chiare per qualche diversità di parole; che sant'Agostino aveva detto questi
e quelli essere diversi nel segno, ma pari nella cosa significata. Et in un altro luogo esser diversi
nella specie visibile, ma gli istessi nella intelligibile significazione; e che altrove pose la differenza,
perché quelli furono promissivi e questi indicativi: il che un altro esprime con altro termine, dicendo
quelli prenonciativi e questi contestativi. Da che appar chiaro che molte sono le convenienze, e
molte le differenze, le quali nissun uomo sensato poteva negare; e però con prudenza quell'articolo
non esser stato posto da principio, né esser a proposito toccarlo al decreto presente. Uscí fuori
un'altra opinione, qual sentí che senza descender a' particolari si dovesse dannare l'opinione de
luterani e zuingliani. Imperoché essi dicono nissun'altra differenza trovarsi tra i sacramenti vecchi e
nuovi se non ne' riti. Ma si è mostrato che altre ve ne sono: adonque condannargli di questo solo,
non metter altra differenza, senza descendere a dire quale ella sia.
Ma il sesto era censurato da' dominicani, con dire essere proprio de' sacramenti evangelici il
dar la grazia, e dagli antichi non esser stata ricevuta, se non per virtú della devozione, essendo tale
l'openione di san Tomaso. Per principal fondamento adducevano la determinazione del concilio
fiorentino, che i sacramenti della legge vecchia non causavano la grazia, ma figuravano che doveva
esser data per la passione di Cristo. Ma perché san Bonaventura e Scoto sostennero che la
circoncisione conferiva grazia «ex opere operato», anzi, aggionse Scoto, che immediate dopo il
peccato d'Adamo fu instituito un sacramento, nel quale a' fanciulli era data una grazia per virtú di
quello, cioè «ex opere operato», i francescani dicevano l'articolo contener il vero e non poter essere
censurato; e facevano gran fondamento che, col dire di san Tomaso i fanciulli inanzi Cristo esser
salvati per la fede paterna, non per virtú di sacramenti, si faceva lo stato de cristiani di peggior
condizione, perché non giovando adesso a' fanciulli la fede paterna senza battesmo, e dicendo
sant'Agostino che si dannò un fanciullo, essendo morto mentre dal padre era portato per essere
battezato, se in quel tempo la sola fede bastava, la condizione de' figli de cristiani era deteriore. In
queste difficoltà da molti tu proposto che l'articolo, come probabile, fosse ommesso.
Del tralasciar il settimo e l'ottavo fu somma concordia. Ma nel nono, del carattere,
proponeva fra Dominico Soto da dicchiarare che ha fondamento nella Scrittura divina et è stato
tenuto sempre nella Chiesa per tradizione apostolica; ancorché da tutti i padri non sia stato usato il
nome, la cosa significata nondimeno esser antichissima. Da altri non gli fu concessa una tanta
ampiezza, perché non si vedeva che né Graziano, né il Maestro delle sentenzie ne avessero fatto
menzione; anzi, Giovanni Scoto disse che per parole della Scrittura o de' padri non era necessario
porlo, ma solo per l'autorità della Chiesa, modo consueto a quel dottore di negare le cose con
maniera di cortesia. Degno era sentire che cosa intendevano fosse, e dove situato, per le molte e
varie openioni de' scolastici, ponendolo alcuni qualità, fra quali erano 4 openioni, secondo le quattro
specie della qualità. Chi lo disse una potestà spirituale, altri un abito o disposizione, altri una
spiritual figura, e non era senza approbatori l'openione che fosse una qualità sensibile metaforica.
Chi la volse una real relazione, altri una fabrica della mente, restando a questi il dicchiarare quanto
fosse lontano dal niente. Del soggetto dove stia, la stessa varietà era molesta, essendo posto da chi
nell'essenza dell'anima, da chi nell'intelletto, da altri nella volontà e non mancò chi gli diede luogo
nelle mani e nella lingua. Era parer di fra Gieronimo portughese dominicano che si statuisse tutti i
sacramenti imprimere una qualità spirituale inanzi che sopravenga la grazia, quale essere de doi
generi: una che mai si può scancellare, l'altra che può perdersi e racquistarsi; quella chiamarsi
carattere, questa esser un certo ornamento. I sacramenti che donano la prima, non replicarsi, poiché
il suo effetto sempre dura; quelli che danno l'ornato, replicarsi quando il loro effetto è perduto; cosa
di bell'apparenza, ma da pochi approvata, per non trovarsi altro autore di quell'ornato che san
Tomaso, qual anco, se ben lo partorí, non lo giudicò degno d'educazione. Ma quantonque tutti
concordassero in questo generale, che tre sacramenti hanno il carattere, alcuni usarono modestia,
dicendo doversi approbare come cosa piú probabile, non però necessaria; in contrario altri, che era
articolo di fede, per averne fatto menzione Innocenzio III e per esser poi cosí definito dal concilio
fiorentino.
Che la bontà del ministro non sia necessaria, fu l'articolo tanto ventilato da sant'Agostino in
tanti libri contra i donatisti, che ebbero i teologi materia di parlare concordemente; et oltre quello, fu
per fondamento principale allegato che l'articolo fu condannato dal concilio di Costanza fra gli
errori di Giovanni Wiglef.
L'undecimo, tutti i voti furono per condannarlo, come contrario alla Scrittura, alla tradizione
et all'uso della Chiesa universale.
Il duodecimo, delle forme de' sacramenti, fu distinto, come quello che doi sensi può
ricevere: overo per forma intendendo le parole essenziali, secondo che si dice ogni sacramento aver
la sua materia, l'elemento sensibile, e la forma, la parola; overo per forma intendendo tutta la
formula o rito del ministerio, che include molte cose non necessarie, ma condecenti; e però
consegliarono che se ne facessero due canoni: per il primo, fosse dannato per eresia chi dice che la
forma possi esser mutata, essendo da Cristo instituita; ma per il secondo senso, se ben le cose
accidentali possono ricevere mutazione, però quando alcun rito è introdotto con publica autorità, o
ricevuto e confermato dall'uso commune, non debbe esser in potestà d'ogn'uno, ma solamente del
pontefice romano, come capo universale di tutta la Chiesa, mutarlo, quando per qualche nuovo
rispetto convenga.
Per il tredecimo, dell'intenzione del ministro, non potevano dissentire dal concilio fiorentino
che l'ha per necessaria; ma che intenzione si ricerca era difficile da esplicare, per la varietà de' sensi
umani circa il valore et efficacia de' sacramenti; perilché non può essere l'istessa intenzione di doi
che abbiano diversa opinione. La risposta commune era che basta aver l'intenzione di fare quello
che fa la Chiesa; la qual esposizione riponendo le difficoltà medesime, perché per la varia opinione
degl'uomini, qual sia la Chiesa, anco l'intenzione loro nel ministrar il sacramento riuscirebbe varia,
pareva che si potesse dire non esser differente, quando tutti hanno l'istessa mira di fare quello che
da Cristo è stato instituito e la Chiesa osserva, se ben si avesse per vera Chiesa una falsa, purché il
rito di questa e di quella sia l'istesso.

Paolo Sarpi : Cosa pensavano i protestanti dei sacramenti (Istoria Concilio Tridentino)

[Articoli estratti da' protestanti nel capo de' sacramenti]
De' sacramenti in universale erano 14 articoli:
1 Che i sacramenti della Chiesa non sono sette, ma sono manco quelli che veramente
possono esser chiamati sacramenti.
2 Che i sacramenti non sono necessarii e senza loro gl'uomini possono acquistare da Dio la
grazia per mezo della fede sola.
3 Nissun sacramento esser piú dell'altro degno.
4 Che i sacramenti della legge nuova non danno la grazia a quelli che non vi pongono
impedimento.
5 Che i sacramenti mai hanno dato la grazia o la remissione de' peccati, ma la sola fede del
sacramento.
6 Che immediate dopo il peccato d'Adamo da Dio sono stati instituiti i sacramenti, per mezo
de' quali fu donata la grazia.
7 Per i sacramenti esser data la grazia solamente a chi crede che i peccati gli sono rimessi.
8 Che la grazia non è data ne' sacramenti sempre, né a tutti quanto s'aspetta ad esso
sacramento, ma solo quando e dove è parso a Dio.
9 Che in nissun sacramento è impresso carattere.
10 Che il cattivo ministro non conferisce il sacramento.
11 Che tutti i cristiani, di qual si voglia sesso, hanno ugual potestà nel ministerio della
parola di Dio e del sacramento.
12 Che ogni pastore ha potestà d'allongar, abbreviare, mutar a beneplacito suo le forme de'
sacramenti.
13 Che l'intenzione de' ministri non è necessaria e non opera cosa alcuna ne' sacramenti.
14 Che i sacramenti sono stati instituiti solo per nutrir la fede.
Del battesmo erano articoli 17:
1 Che nella Chiesa romana e catolica non vi è vero battesmo.
2 Che il battesmo è libero e non necessario alla salute.
3 Che non è vero battesmo quello che è dato dagli eretici.
4 Che il battesmo è penitenzia.
5 Che il battesmo è segno esteriore, come la terra rossa nelle agnelle, e non ha parte nella
giustificazione.
6 Che il battesmo si debbi rinovare.
7 Il vero battesmo esser la fede, qual crede che i peccati sono rimessi a' penitenti.
8 Che nel battesmo non è estirpato il peccato, ma solamente non imputato.
9 Esser la medesma virtú del battesmo di Cristo e di Giovanni.
10 Che il battesmo di Cristo non ha evacuato quello di Giovanni, ma gli ha aggionto la
promessa.
11 Che nel battesmo la sola immersione è necessaria e gli altri riti usati in esso esser liberi e
potersi tralasciare senza peccato.
12 Che sia meglio tralasciare il battesmo de' putti che battezargli mentre non credono.
13 Che i putti non debbino essere rebattezati, perché non hanno fede proprii.
14 Che i battezati in puerizia, arrivati all'età di discrezione, debbono essere rebattezati per
non aver creduto.
15 Che quando i battezati nella infanzia sono venuti in età, si debbono interrogare se
vogliono ratificare quel battesmo, e negandolo, debbono esser lasciati in libertà.
16 Che i peccati commessi dopo il battesmo sono rimessi per la sola memoria e fede d'essere
battezato.
17 Che il voto del battesmo non ha altra condizione che della fede, anzi annulla tutti gli altri
voti.
Della confermazione erano 4 articoli:
1 Che la confermazione non è sacramento.
2 Che è instituito da' padri e non ha promessa della grazia di Dio.
3 Che ora è una cerimonia ociosa, e già era una catechesi quando i putti gionti all'età
rendevano conto della sua fede inanzi la Chiesa.
4 Che il ministro della confermazione non è il solo vescovo, ma qualonque altro sacerdote.
Nelle congregazioni tutti i teologi convennero in asserire il settenario numero e dannare per
eresia la contraria sentenzia, atteso il consenso universale delle scole, incomminciando dal Maestro
delle sentenze che prima ne parlò determinatamente, sino a questo tempo. A questo aggiongevano il
decreto del concilio fiorentino per gli armeni che determina quel numero, e per maggior
confermazione era aggionto l'uso della Chiesa romana, dal quale concludevano che conveniva
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tenerlo per tradizione apostolica et articolo di fede. Ma per la seconda parte dell'articolo non
concordavano tutti, dicendo alcuni che era assai seguire il concilio fiorentino, qual non passò piú
inanzi; poiché il decidere i sacramenti proprii non essere né piú né meno, presuppone una decisione
qual sia la vera e propria essenza e definizione del sacramento, cosa piena di difficoltà per le molte
e varie definizioni portate non solo da' scolastici, ma anco da' padri; delle quali attendendo una,
converrà dire che sia proprio sacramento quello che, considerando l'altra, doverà esser escluso dal
numero. Essere anco questione tra i scolastici se il sacramento si possi definire, se abbia unità, se sia
cosa reale overo intenzionale, e non esser cosa raggionevole in tanta ambiguità de' principii,
fermare con tanto legame le conclusioni. Fu raccordato che san Bernardo e san Cipriano ebbero per
sacramento il lavare de' piedi, e che sant'Agostino fa ogni cosa sacramento, cosí chiamando tutti i
riti con che si onora Dio, et altrove, intendendo la voce piú ristrettamente che la proprietà non
comporta, fece sacramenti soli quelli di che espressamente vien parlato nella Scrittura del Nuovo
Testamento, et in questo significato pose solamente il battesmo e l'eucaristia, se ben in un luogo
dubitò se alcun altro ve n'era.
Per l'altra parte si diceva essere necessario stabilire per articolo che i sacramenti proprii non
sono né piú né meno, per reprimere l'audacia, cosí de' luterani, che gli fanno ora 2, ora 3, ora 4,
come anco di quelli che eccedono i 7, e se ne' padri si trova alcune volte numero maggiore et alcune
volte minore, questo esser nato perché allora, inanzi la determinazione della Chiesa, era lecito
ricevere la voce ora in piú ampio, ora in piú stretto significato. E qui per stabilire il proprio e, come
i scolastici dicono, la sufficienza di questo settenario, cioè che né piú, né meno sono, fu usata
longhezza noiosa nel racconto delle raggioni dedotte da 7 cose naturali, per quali s'acquista e
conserva la vita, dalle 7 virtú, da' 7 vizii capitali, da' sette difetti venuti per il peccato originale, da'
sei giorni della creazione del mondo e settimo della requie, dalle sette piaghe d'Egitto, et anco da'
sette pianeti, dalla celebrità del numero settenario e da altre congruità usate da' principali scolastici
per prova della conclusione; e molte raggioni, perché le consecrazioni delle chiese, de' vasi de'
vescovi, abbati et abbadesse e monache non siano sacramenti, né l'acqua benedetta, né il lavar de'
piedi di san Bernardo, né il martirio, né la creazione de' cardinali o la coronazione del papa.
Fu raccordato che per raffrenare gli eretici non bastava condannare l'articolo, chi non
nominava anco singolarmente ogni uno de' sacramenti, acciò qualche mal spirito non escludesse
alcuno de' veri e sostituisse de' falsi. Fu appresso raccordato un altro ponto essenziale all'articolo,
cioè il determinar l'institutore di tutti i sacramenti, che è Cristo, per condannare l'eresie de' luterani,
che ascrivono a Cristo l'ordinazione del solo battesmo et eucaristia; e che per fede debbia essere
Cristo tenuto per l'institutore, era allegato sant'Ambrosio e sant'Agostino, e sopra ogni altro la
tradizione apostolica; dal che nissun discordava. Ma bene altri dicevano che non conveniva passare
tanto inanzi et era assai star tra i termini del concilio fiorentino, massime atteso che il Maestro delle
sentenzie tenne che l'estrema onzione fosse da san Giacomo; e san Bonaventura, con Alessandro,
che la confermazione avesse principio dopo gli apostoli; e l'istesso Bonaventura, con altri teologi,
fanno gli apostoli autori del sacramento della penitenzia. E del matrimonio si troverà che da molti
vien detto che da Dio nel paradiso fu instituito, e Cristo stesso quando di quello parla, che era il
luogo proprio per dirne l'autore, allora non a sé, ma al Padre nel principio attribuisce l'instituzione.
Per tanti rispetti consegliavano che quel ponto non fosse aggionto, acciò non si condannasse
openione da' catolici tenuta. I dominicani, in contrario, con qualche acerbità di parole affermavano
che si possono esponere quei dottori e salvargli con varie distinzioni, perché essi si sarebbono
sempre rimessi alla Chiesa: ma non era da trappassare senza condanna l'audacia luterana, che con
sprezzo della Chiesa ha introdotto quelle falsità, e non essere da tolerar a' luterani temerarii quello
che si comporta a' santi padri.
Il secondo articolo della necessità de' sacramenti volevano altri che non fosse dannato cosí
assolutamente, ma fusse distinto, essendo certo che non tutti sono assolutamente necessarii; un'altra
opinione era che si dovesse dannare chi diceva non essere li sacramenti necessari nella Chiesa,
poiché certo è non tutti essere necessarii ad ogni persona, anzi alcuni esser incompossibili insieme,
come l'ordine et il matrimonio. La piú commune nondimeno fu che l'articolo fosse dannato cosí
assolutamente per due raggioni: l'una, perché basta la necessità di uno a far che l'articolo, come
giace, sia falso; l'altra, perché tutti sono in qualche modo necessarii, chi assolutamente, chi per
supposizione, chi per convenienza, chi per utilità maggiore; con maraviglia di chi giudicava non
convenire con equivocazione tanto moltiplice fermare articoli di fede; per sodisfare i quali, quando
furono i canoni composti, si aggionse, condannando chi teneva li sacramenti non necessarii, ma
superflui; con questo ultimo termine ampliando la significazione del primo.
Dell'altra parte dell'articolo molti erano di parere che si omettesse, poiché, per quel che tocca
alla fede, già nella sessione precedente era definito che sola non bastasse, e la distinzione del
sacramento in voto, diceva il Marinaro, è ben cosa vera, ma da' soli scolastici usata, all'antichità
incognita e piena di difficoltà; perché negli Atti degl'apostoli, nell'instruzzione del centurione
Cornelio, l'angelo disse che le orazioni sue erano grate a Dio, prima che sapesse il sacramento del
battesmo e gli altri particolari della fede; e tutta la casa sua, intendendo la concione di san Pietro,
ricevette lo Spirito Santo, prima che fosse instrutta della dottrina de' sacramenti, e dopo ricevuto lo
Spirito Santo, fu da san Pietro insegnata del battesmo, onde, non avendone notizia alcuna, non poté
riceverlo in voto; et il ladro in croce moribondo, illuminato allora solamente della virtú di Cristo,
non sapeva de' sacramenti per potersi in quelli votare; e molti santi martiri nel fervore della
persecuzione, convertiti nel veder la costanza d'altri et immediate rapiti et uccisi, non si può, se non
divinando, dire che avessero cognizione de' sacramenti per votarsi. Però essere meglio lasciare la
distinzione alle scole e tralasciare di metterla negl'articoli di fede. A questo repugnava la commune
openione, con dire che, quantonque le parole della distinzione fussero nuove e scolastiche, però si
doveva credere il significato esser insegnato da Cristo et aversi per tradizione apostolica; e quanto
agl'essempii di Cornelio, del ladro e martiri, doversi sapere che sono due sorti di voto del
sacramento: uno esplicato, l'altro implicato, e questo secondo almeno esser necessario; cioè che
attualmente non avevano il voto, ma l'averebbono avuto, s'avessero saputo; le quali cose erano
concesse dagl'altri per vere, ma non obligatorie come articoli di fede. Ma queste difficoltà, dove non
potevano convenire, si rimettevano alla sinodo, cioè alla congregazione generale.
Sí come avvenne anco del terzo articolo; il quale quantonque ognuno avesse per falso,
imperoché tutti accordavano che, risguardando la necessità et utilità, il battesmo precede, ma
attendendo la significazione, il matrimonio; chi guarda la degnità del ministro, la confermazione;
chi la venerazione, l'eucaristia: ma non potendosi dire qual sia piú degno senza distinzione, essere
meglio tralasciare afatto l'articolo che non può esser inteso senza sottilità. Un'altra openione era che
si dovessero esplicare tutti i rispetti della degnità; una media fu che all'articolo s'aggiongesse la
clausula, cioè: secondo diversi rispetti; la qual era piú seguitata, ma con dispiacere di quelli, a chi
non poteva piacere che la sinodo s'abbassasse a queste scolasticarie inette, che cosí le chiamavano, e
volesse credere che Cristo introducesse queste tenuità d'openioni nella sua fede.
Nel quarto tutti furono di parere che l'articolo fosse condannato; anzi aggionsero ch'era
necessario amplificarlo, condannando specificatamente la dottrina zuingliana, quale vuole che i
sacramenti non siano altro che segni, per quali i fedeli dagli infedeli si discernono; overo atti et
essercizii di professione della fede cristiana, ma alla grazia non abbiano altra relazione, se non per
essere segni d'averla ricevuta. Appresso ancora raccordarono che si dannassero cosí quelli che
negano i sacramenti conferire la grazia a chi non pone impedimento, come ancora chi non confessa
la grazia essere contenuta ne' sacramenti e conferita, non per virtú della fede, ma «ex opere
operato». Ma venendo ad esplicare il modo di quella continenza e causalità, ogni uno concordava
che per tutte quelle azzioni che eccitano la devozione s'acquista grazia, e ciò non nasce dalla forza
dell'opera medesima, ma dalla virtú della devozione, che è nell'operante, e queste tali nelle scuole si
dice che causano la grazia «ex opere operantis». Altre azzioni sono che causano la grazia non per la
devozione di chi opera o di chi riceve l'opera, ma per virtú dell'opera medesima. Cosí sono i
sacramenti cristiani, per quali la grazia è ricevuta, purché nel soggetto non vi sia impedimento di
peccato mortale che l'escluda, quantonque non vi sia divozione alcuna: e cosí per l'opera medesima
del battesmo, essere data la grazia ad un fanciullo che non ha moto alcuno d'animo verso quello, e
parimente ad un nato pazzo, perché non vi è impedimento di peccato. L'istesso fa il sacramento
della cresma e quello dell'estrem'onzione, quando ben l'infermo abbia perduta la cognizione. Ma
s'un averà peccato mortale, nel quale perseveri attualmente overo abitualmente, per la contrarietà
non riceverà grazia: non perché il sacramento non abbia virtú di produrla «ex opere operato», ma
perché il recipiente non è capace, per esser occupato d'una qualità contraria.


venerdì 26 luglio 2013

Paolo Sarpi : Canoni della riforma generale tridentina (Istoria Concilio Tridentino)

[Canone della riforma generale]
Continuò immediate la lettura della riforma generale, della quale, dopo essortati li vescovi
alla vita essemplare et alla modestia negl'apparati, mensa e vitto frugale,

1 Viene proibito che delle rendite della chiesa non possino far parte a' parenti e famigliari,
eccetto se sono poveri, estendendo quello che de' vescovi è detto a tutti li beneficiati secolari e
regolari et ancora a' cardinali.

2 Che li vescovi, nel primo concilio provinciale, ricevino li decreti d'essa sinodo tridentina,
promettino obedienza al papa, anatematizino le eresie condannate, e l'istesso faccia ciascun vescovo
che per l'avvenire sarà promosso, nella prima sinodo; e tutti li beneficiati che debbono convenir in
sinodo diocesana, in quella faccino il medesimo. E quelli che hanno cura dell'università e studii
generali, operino che da quelli siano ricevuti li medesimi decreti e li dottori insegnino conforme a
quelli la fede catolica; e di ciò ne facciano giuramento solenne in principio di ciascun anno, e quelle
che sono soggette immediate al pontefice, Sua Santità averà cura che siano riformate da' suoi
delegati in quella maniera o come meglio gli parerà.

3 Che se ben la spada della scommunica è il nervo della disciplina ecclesiastica, molto
salutifero per contener gl'uomini in ufficio, s'ha da usar con sobrietà e circonspezzione, avendo
imparato per esperienza esser piú sprezzato che temuto, quando si fulmina temerariamente per
causa leggiera; però da altri che dal vescovo non possi esser fulminata per cose perse e rubate, il
quale non si lasci indur a concederla dall'autorità di qualsivoglia secolare, eziandio magistrato. E
nelle cause giudiciali, dove si può far l'essecuzione reale o personale, s'astenga da censure; e nelle
civili, spettanti in qualonque modo al foro ecclesiastico, possino usar pene pecuniarie, eziandio
contra li laici, o proceder per presa de pegni overo delle persone medesime, con essecutori suoi o
altri; e non potendosi esseguir realmente o personalmente, ma essendoci contumacia, si possi
proceder alla scommunica; et il medesimo nelle cause criminali. Né il magistrato secolare possi
proibir all'ecclesiastico di scommunicare overo rivocar la scommunica sotto pretesto che le cose del
decreto non siano state osservate. Il scommunicato, se non si ravederà, non solo non sia ricevuto a
partecipar co' fedeli, ma se persevererà nelle censure, si possi proceder contra lui come sospetto
d'eresia.

4 Dà facoltà a' vescovi che nella sinodo diocesana, et a' capi degl'ordini ne' suoi capitoli
generali possino ordinar nelle loro chiese quello che sia ad onor di Dio et utilità di quelle, quando vi
sia obligo di celebrar cosí gran numero di messe per legati testamentarii che non si possino satisfar
overo l'elemosina sia tanto tenue che non si trovi chi vogli ricever il carico; con condizione però,
che sempre si faccia memoria di quei deffonti che hanno lasciati li legati.

5 Che nella collazione o qualonque altra disposizione de' beneficii non sia derogato alle
qualità, condizioni e carichi ricercati, overo imposti nella erezzione o fondazione, o per qualonque
altra constituzione; altrimenti la provisione sia stimata sorrettizia.

6 Che quando il vescovo procede fuori di visita contra li canonici, il capitolo nel principio di
ciascun anno elegga doi, col conseglio e consenso de' quali abbia da proceder in tutti gl'atti, e sia
uno il voto d'ambidoi, e se saranno tutti doi discordi dal vescovo, sia eletto da loro un terzo che
determini la controversia; e non accordandosi, sia eletto il terzo dal vescovo piú vicino; ma nelle
cause di concubinato o piú atroci possi il solo vescovo ricever l'informazione e proceder alla
retenzione, del resto servando quanto è ordinato. Che il vescovo in coro et in capitolo e negl'altri atti
publici abbia la prima sede et il luogo che eleggerà. Che il vescovo preseda al capitolo, se non
quando si tratta del commodo suo e de' suoi, né questa autorità possi esser communicata al vicario e
quelli che non sono di capitolo. Nelle cause ecclesiastiche siano in tutto soggetti al vescovo, e dove
li vescovi hanno maggior giurisdizzione della predetta, il decreto non abbia luogo.

7 Per l'avvenire non sia piú concesso regresso o accesso ad alcun beneficio ecclesiastico, né
li già concessi siano estesi o trasferiti, et in questo siano compresi anco li cardinali. Non siano fatti
coadiutori con futura successione in qualsivoglia beneficii ecclesiastici; e se nelle catedrali o
monasterii sarà necessario o utile il farlo, la causa sia prima conosciuta dal pontefice e vi
concorrano le debite qualità.

8 Che tutti li beneficiati essercitino l'ospitalità quanto l'entrata gli concede, e quelli che
hanno ospitali in governo sotto qualonque titolo, commanda che l'essercitino secondo che sono
tenuti delle entrate a ciò deputate; e se nel luogo non si trovino persone di quella sorte che
l'instituzione ricerca, le entrate siano convertite in uso pio piú prossimo a quello come parerà al
vescovo con doi del capitolo; e quelli che non satisfaranno al carico dell'ospitalità, se ben fossero
laici, possino esser costretti per censure et altri rimedii al loro debito, e siano tenuti alla restituzione
de' frutti nel foro della conscienza, e per l'avvenire simil governi non siano dati ad uno per piú che 3
anni. Che il titolo del iuspatronato si mostri autentico per fondazione o donazione o per
presentazioni moltiplicate da tempo immemorabile, o in altra maniera legitima. Ma nelle persone e
communità che si sogliono presumer averlo usurpato, la prova sia piú essatta e l'immemorabile non
basti, se non si mostrino autenticamente presentazioni di 50 anni almeno, che tutte abbiano avuto
effetto. Le altre sorti de' patronati s'intendino abrogati, eccetto quelli dell'imperatore, re overo
possessori de regni, et altri prencipi soprani e de' studii generali. Possi il vescovo non admetter li
presentati da' patroni se non saranno idonei; li patroni non si possino intrometter ne' frutti, né il
iuspatronato possi esser trasferito in altri contra le ordinazioni canoniche, e le unioni de' beneficii
liberi a quei de iuspatronati, se non hanno sortito effetto, cessino a fatto, e li beneficii siano ridotti a
libertà, e le fatte da 40 anni in giú, quantonque siano perfezzionate, si rivedino da' vescovi e,
trovatovi qualche defetto, siano annullate; e parimente siano revisti tutti li patronati da 40 anni in
giú, per aummento di dote o per nuova construzzione, e se non si troveranno in evidente utilità del
beneficio, siano rivocati, restituito a' patroni quello che da loro è dato.

10 Che ne' concilii provinciali, o diocesani siano elette quattro persone almeno con le debite
qualità, a quali siano commesse le cause ecclesiastiche, che s'averanno a delegare da' legati, noncii,
o dalla Sede apostolica, e le delegazioni ad altri fatte s'intendino sorrettizie.

11 Che li beni ecclesiastici non possino esser affittati con antecipato pagamento in
pregiudicio de' successori, né si possino affittar le giurisdizzioni ecclesiastiche, né gli affittuali
possino essercitarle; e le locazioni di cose ecclesiastiche, eziandio confermate dalla Sede apostolica,
fatte da 30 anni in giú per tempo longo, cioè a 29 o piú anni, si debbino giudicar dalla sinodo
provinciale fatte in danno della Chiesa.

12 Che li tenuti a pagar decime, per l'avvenire le paghino a chi sono obligati intieramente, e
chi le tiene debbia esser escommunicato, né possi esser assolto se non seguita la restituzione. Et
essorta tutti a far parte de' beni donatigli da Dio a' vescovi e parochi che hanno le chiese povere.

13 Dove la quarta de' funerali era solita pagarsi alla chiesa episcopale o parochiale da 40
anni in su, e poi è stata concessa ad altri luoghi pii, sia a quelle ritornata.

14 Proibisce a tutti li chierici di tener in casa o fuori concubine o altre donne sospette, dal
che, se ammoniti non s'asteneranno, siano privati della terza parte dell'entrate ecclesiastiche, e dopo
la seconda ammonizione privati di tutti e sospesi dall'amministrazione, e, perseverando, siano
privati d'ogni beneficio et inabili ad averne sino che non saranno dispensati; e se, dopo averle
lasciate, ritorneranno, siano anco scommunicati e la cognizione di queste cause appartenga a' soli
vescovi sommariamente. Ma li chierici non beneficiati siano da loro puniti di carcere, sospensione o
inabilità. E li vescovi medesimi, se caderanno in simil errore, non emendandosi dopo esser amoniti
dalla sinodo provinciale, siano sospesi e, perseverando, siano denonciati al papa.

15 Che li figli di chierici non nati di legitimo matrimonio non possino aver beneficio, né
ministerio nelle chiese dove li loro padri hanno o hanno avuto beneficio alcuno, né possino aver
pensioni sopra li beneficii che il padre ha o ha avuto; e se in qualche tempo padre e figliuolo hanno
beneficio nella medesima chiesa, il figliuolo sia tenuto resignarlo fra tre mesi, proibendo anco le
resignazioni che il padre farà ad un altro, acciò quello resigni il suo al figliuolo.

16 Che li beneficii curati non possino esser convertiti in semplici e ne' già convertiti, se il
vicario perpetuo non ha entrata conveniente, gli sia assignata ad arbitrio del vescovo.

17 Contra li vescovi che si portano bassamente co' ministri de' re, co' titolati e baroni, cosí
nella chiesa come fuori, e con troppo indegnità non solo gli danno luogo, ma ancora gli servono in
persona, la sinodo, detestando questo e rinovando li canoni spettanti al decoro della degnità
episcopale, commanda a' vescovi che se n'astengano et abbiano risguardo al proprio grado, cosí in
chiesa come fuori, raccordandosi d'esser pastori, e commanda anco a prencipi et a tutti gl'altri che
gli portino onor e riverenza debita a padri.

18 Che li canoni siano osservati da tutti indistintamente e non siano dispensati se non per
causa conosciuta con maturità e senza spesa.

19 Che l'imperatore, re et ogni altro prencipe, che concederanno luogo per duello tra
cristiani, siano escommunicati e privati del dominio del luogo dove il duello sarà commesso, se lo
riconoscono dalla Chiesa; e li combattenti e padrini siano escommunicati, confiscati li beni e
perpetuamente infami, e morendo nel duello, non siano sepolti in sacro; e quelli che lo
conseglieranno o in iure o in fatto, o persuaderanno al duello, e li spettatori siano scommunicati.

20 In fine fu letto il tanto essaminato capitolo della libertà ecclesiastica overo riforma de'
prencipi. In quello la sinodo ammonisce li prencipi secolari, confidando che concederanno la
restituzione delle raggioni sue alla Chiesa e redurranno li sudditi alla riverenza verso il clero e non
permetteranno che gl'ufficiali et inferiori magistrati violino l'immunità della Chiesa e persone
ecclesiastiche, ma insieme con essi prencipi saranno obedienti alle constituzioni del sommo
pontefice e concilii, determinando che tutte le constituzioni de' concilii generali et apostoliche a
favor delle persone ecclesiastiche e dell'ecclesiastica libertà siano osservate da tutti; ammonendo
l'imperatore, re, republiche e prencipi e tutti a venerar le cose che sono di raggione ecclesiastica e
non permetter che da' signori inferiori o da' magistrati o ministri suoi siano violate, acciò li chierici
possino star alla sua residenza et essercitarsi negl'officii senza impedimento, con edificazione del
popolo.
Dopo questo fu letto un decreto, del quale in nissuna congregazione s'era prima parlato, per
il quale la sinodo decchiarava che in tutti i decreti di riforma fatti sotto Paolo, Giulio e Pio in quel
concilio, con qualsivoglia parole e clausule, s'intendi sempre salva l'autorità della Sede apostolica.

[Seguito della medesima sessione: decreto delle indulgenze, di digiuni, cibi e feste, indice
de' libri proibiti]

Non potendosi espedire, per esser l'ora tarda, il rimanente in quella sessione, secondo la
deliberazione presa nella congregazione generale, il rimanente fu differito al giorno seguente, nel
quale, quantonque fosse già venuta nuova che il papa era megliorato et in tutto posto in sicuro della
vita, si fece la congregazione inanzi giorno; furono letti li decreti delle indulgenze, di finir il
concilio e di dimandar la conferma, et approvati da tutti.
Dopo il disnar si fece la sessione, nella quale fu letto il decreto delle indulgenze, che in
sostanza contiene: Cristo aver dato autorità di concederle alla Chiesa e lei aver usato da
antichissimo tempo, e per tanto la sinodo insegna e commanda che l'uso di quelle sia continuato
come salutifero al popolo cristiano et approvato da' concilii, et anatematiza chi dirà che siano inutili
o che la Chiesa non abbia potestà di concederle; e per servar l'antica consuetudine e proveder
gl'abusi, commanda che siano abolite tutte le questuazioni cattive, e quanto agl'altri abusi,
commanda a' vescovi che ciascun raccolga tutti quelli della propria chiesa e gli proponga nella
sinodo provinciale per riferirgli al papa che vi provegga. Intorno li digiuni e differenze de cibi et
osservazione di feste, essorta li vescovi ad osservar li commandamenti della Chiesa romana, et
intorno l'Indice, se ben quello era finito, non potendo la sinodo darne giudicio, ordina che tutto sia
portato al papa e rimesso al giudicio suo; l'istesso facendosi del catechismo, messal e breviario.

Publicò ancora un altro decreto che per li luoghi dissegnati agli oratori non s'intendi pregiudicato ad
alcuno. In fine pregò li prencipi ad adoperarsi che li decreti del concilio non siano violati
dagl'eretici, ma ricevuti et osservati da essi e da tutti; nel che, se nascerà difficoltà o bisogno di
decchiarazione, il papa, chiamati quelli che giudicherà a proposito dai luoghi dove la difficoltà
nascesse, overo congregando concilii generali o con altro modo provederà. Furono dopo recitati
tutti li decreti fatti sotto Paolo e Giulio in quel concilio, cosí in materia di fede come di riforma. Per
ultima cosa, il secretario andato in mezo, interrogò se piaceva a' padri che fosse posto fine a quella
sinodo e, per nome di lei, da' legati e presidente dimandata al sommo pontefice Pio IV conferma di
tutte le cose decretate sotto Paolo e Giulio e sotto la Santità Sua, e fu risposto, non ad uno ad uno
per voti, ma da tutti insieme in una voce: «Placet». Il cardinal Morone, come primo presidente,
concesse a ciascuno che s'era ritrovato in concilio et a tutti li presenti alla sessione indulgenza
plenaria, e benedisse il concilio e licenziò tutti che, dopo aver reso grazie a Dio, andassero in pace.



[Acclamazioni in concilio. Sottoscrizzione de' decreti]
Fu antico costume delle chiese orientali di trattar le cose de' concilii nell'adunanza publica di
tutti, e, venendo occasione, ben spesso occorrevano delle acclamazioni popolari, et alcune volte
tumultuose, le quali però finivano in concordia; e nel fine li vescovi, trasportati per l'allegrezza
causata dalle concordi deliberazioni, passavano ad acclamazioni in lode degl'imperatori, che
avevano congregato il concilio e favorito, in commendazione della dottrina dal concilio decchiarata,
in preghiere a Dio per la continua divina assistenza alla santa Chiesa, per la salute degl'imperatori e
per la sanità e prosperità de' vescovi; le quali non erano meditate, ma secondo che lo spirito eccitava
alcun vescovo piú zelante a prorumper in qualche d'uno di quei concetti opportunamente, cosí il
commun concorso gl'acclamava. Questo fu anco immitato in Trento, non però dando luogo a spirito
presentaneo d'alcuno, ma con aver prima meditato quello che doveva esser proposto e risposto, e
recitandolo de scritto. Il cardinal di Lorena si prese cura non solo d'esser principale a componer le
acclamazioni, ma anco d'intonarle; il che universalmente fu inteso per una leggierezza e vanità e
poco condecente ad un tal prelato e prencipe far l'officio che piú tosto conveniva a' diaconi del
concilio, non che ad un arcivescovo e cardinale tanto principale. In quelle intonando il cardinale e
rispondendo li padri, fu pregato longa vita al papa et eterna felicità a Paolo e Giulio; e similmente
eterna memoria a Carlo V et a' re protettori del concilio; e longa vita all'imperatore Ferdinando et a'
re, prencipi e republiche; longa vita e molte grazie a' legati e cardinali; vita e felice ritorno a'
vescovi, commendata la fede della santa general tridentina sinodo come fede di san Pietro, de' padri
e degl'ortodossi: in una sola parola detto anatema a tutti gl'eretici in general, senza specificare né
antichi, né moderni.
Fu commandato sotto pena di scommunica a tutti li padri che sottoscrivessero di mano
propria a' decreti. Il giorno seguente, che fu la dominica, fu consummato in questo, e per farlo
ordinatamente, si fece quasi una congregazione, e le sottoscrizzioni furono di legati 4, cardinali 2,
patriarchi 3, arcivescovi 25, vescovi 268, abbati 7, procuratori d'assenti 39, generali d'ordini regolari
7.
E se ben già era stato deliberato che gl'ambasciatori sottoscrivessero dopo li padri, fu presa
contraria risoluzione allora per piú rispetti: l'uno fu perché il non esservi ambasciatore francese,
quando fossero vedute le sottoscrizzioni degl'altri e non quella, sarebbe stato una decchiarazione
che ' francesi non ricevessero il concilio; l'altro perché il conte di Luna si lasciava intender di non
sottoscriver assolutamente, ma con riserva, per non aver il re acconsentito al fine del concilio. E
publicarono li legati che, non essendo costume di sottoscriver li decreti se non da chi ha voce
deliberativa, sarebbe stata cosa insolita che ambasciatori sottoscrivessero.
In Roma, quando successe l'infermità del pontefice, temendo tutti della vita sua, fu molta
confusione nella corte, perché, non avendosi ancora visto morte di pontefice essendo il concilio
aperto, si temeva grandemente quello che potesse succeder: avevano l'essempio del concilio
constanziense, il quale nell'elezzione aggionse altri prelati a' cardinali, e temevano che qualche cosa
simile o peggiore non avvenisse; e se ben l'ambasciatore di Spagna affermava l'ambasciatore in
Trento e li prelati spagnuoli aver commissione che l'elezzione fosse de' cardinali, con tutto ciò,
atteso il poco numero di questi, le parole non davano piena confidenza. Fu grand'allegrezza quando
s'intese il papa ristorato, parendo d'esser usciti di gran pericolo, la qual s'aummentò sopra modo
quando s'intese il fine del concilio. Il pontefice ordinò per questo una solenne processione per
ringraziar Dio di tanto beneficio. In consistoro mostrò il gran contento che n'aveva; disse di volerlo
confermare et anco aggiongergli altre riforme, di voler mandar 3 legati, in Germania, Francia e
Spagna per essortar ad esseguir li decreti, per conceder le cose oneste e dar suffragio nelle cose de
iure positivo.