SESSIONE VII (3 marzo 1547)
Primo decreto: I sacramenti
Introduzione.
A completamento
della salutare dottrina della giustificazione, promulgata nella precedente
sessione col consenso unanime di tutti i padri, è sembrato naturale trattare
dei santissimi sacramenti della chiesa, attraverso i quali qualsiasi vera
giustizia ha inizio o viene aumentata, se già iniziata, o è recuperata, se
perduta.
Perciò il sacrosanto concilio tridentino generale ed
ecumenico legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli
stessi legati della sede apostolica, per eliminare gli errori ed estirpare le
eresie che in questa nostra età o sono state riesumate, contro gli stessi
santissimi sacramenti, da eresie già condannate a suo tempo dai nostri padri, o
sono state inventate de novo, le quali sono in contrasto con la purezza
della chiesa cattolica e nuocciono grandemente alla salvezza delle anime:
attenendosi alla dottrina delle sacre scritture, alle tradizioni apostoliche e
all’unanime pensiero degli altri concili e dei padri (172), ha creduto bene di
stabilire e di proporre i presenti canoni, ripromettendosi di pubblicare in
seguito (con l’aiuto dello Spirito santo) gli altri che mancano al
completamento dell’esposizione iniziata.
CANONI SUI
SACRAMENTI, IN GENERE
1. Se qualcuno
afferma che i sacramenti della nuova legge non sono stati istituiti tutti da
Gesù Cristo, nostro signore, o che sono più o meno di sette, e cioè: il
battesimo, la confermazione, l’eucarestia, la penitenza, l’estrema unzione,
l’ordine e il matrimonio, o anche che qualcuno di questi sette non è veramente
e propriamente un sacramento: sia anatema.
2. Se qualcuno
afferma che questi stessi sacramenti della nuova legge non differiscono da
quelli della legge antica, se non perché sono diverse le cerimonie e i riti
esterni: sia anatema.
3. Se qualcuno
afferma che questi sette sacramenti sono talmente uguali fra di loro, che per
nessun motivo uno è più degno dell’altro: sia anatema (173).
4. Se qualcuno
afferma che i sacramenti della nuova legge non sono necessari alla salvezza, ma
superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini con la
sola fede ottengono da Dio la grazia della giustificazione (174), anche se non
sono tutti necessari a ciascuno: sia anatema.
5. Se qualcuno
afferma che questi sacramenti sono stati istituiti solo per nutrire la fede:
sia anatema.
6. Se qualcuno
afferma che i sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che
significano, o che non conferiscono la stessa grazia a quelli che non
frappongono ostacolo, quasi che essi siano solo segni esteriori della grazia o
della giustizia già ricevuta mediante la fede, o note distintive della fede
cristiana, per cui si distinguono nel mondo i fedeli dagli infedeli: sia anatema.
7. Se qualcuno
afferma che con questi sacramenti non sempre e non a tutti, per quanto sta in
Dio, viene data la grazia, anche se li ricevono nel modo dovuto, ma che viene
data solo qualche volta e ad alcuni: sia anatema.
8. Se qualcuno afferma che con i sacramenti della nuova
legge la grazia non viene conferita ex opere operato, ma che è
sufficiente la sola fede nella divina promessa per conseguire la grazia: sia
anatema.
9. Se qualcuno
afferma che nei tre sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’ordine
non viene impresso nell’anima il carattere, cioè un segno spirituale ed
indelebile, così che essi non possono essere ripetuti: sia anatema (l75).
10. Se qualcuno
afferma che tutti i cristiani hanno il potere di annunciare la parola e di amministrare
tutti i sacramenti: sia anatema.
11. Se qualcuno
afferma che nei ministri, quando conferiscono i sacramenti, non si richiede
l’intenzione di fare almeno quello che fa la chiesa: sia anatema (l76).
12. Se qualcuno
afferma che il ministro, quando si trova in peccato mortale - ancorché compia
tutto ciò che è essenziale a celebrare e a conferire il sacramento - non
celebra e non conferisce il sacramento: sia anatema (177).
13. Se qualcuno
afferma che i riti tramandati e approvati dalla chiesa cattolica, soliti ad
essere usati nell’amministrazione solenne dei sacramenti, possano essere
disprezzati o tralasciati a discrezione senza peccato da chi amministra il
sacramento, o cambiati da qualsivoglia pastore di chiese con altri nuovi riti:
sia anatema.
CANONI SUL
SACRAMENTO DEL BATTESIMO
1. Se qualcuno
afferma che il battesimo di Giovanni aveva la stessa efficacia del battesimo
del Cristo (178) sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che la vera acqua naturale non è
necessaria per il battesimo (179) e darà, quindi, un significato metaforico
alle parole del signore nostro Gesù Cristo: chi non rinascerà per l’acqua e
lo Spirito santo (180): sia anatema.
3. Se qualcuno
afferma che nella chiesa romana (che è madre e maestra di tutte le chiese) non
vi è la vera dottrina del battesimo (181): sia anatema.
4. Se qualcuno
afferma che il battesimo anche se amministrato dagli eretici nel nome del
Padre, del Figlio e dello Spirito santo, con l’intenzione di fare quello che fa
la chiesa, non è un vero battesimo (182): sia anatema.
5. Se qualcuno
afferma che il battesimo è libero, cioè non necessario alla salvezza (183): sia
anatema.
6. Se qualcuno
afferma che il battezzato, anche se lo volesse, per quanto pecchi, non può
perdere la grazia, a meno che non voglia credere: sia anatema.
7. Se qualcuno
afferma che quelli che vengono battezzati in forza dello stesso battesimo sono
obbligati solo a credere e non ad osservare tutta la legge del Cristo: sia
anatema.
8. Se qualcuno
afferma che i battezzati sono liberi da tutti i precetti della santa chiesa,
sia scritti che tramandati oralmente, cosi che non sono tenuti ad osservarli, a
meno che non si vogliano sottomettere ad essi spontaneamente: sia anatema.
9. Se qualcuno
afferma che gli uomini devono essere richiamati alla memoria del battesimo
ricevuto in modo che capiscano che tutti i voti formulati dopo il battesimo, in
forza della promessa già fatta nello stesso battesimo, sono vani, quasi che con
essi si sminuisca la fede, che essi hanno professato, e lo stesso battesimo:
sia anatema.
10. Se qualcuno
afferma che tutti i peccati che si commettono dopo il battesimo, per il solo
ricordo e la sola fede del battesimo ricevuto vengono perdonati o diventano
veniali: sia anatema.
11. Se qualcuno
afferma che un battesimo valido e legittimamente conferito debba essere
ripetuto per chi abbia negato presso gli infedeli la fede di Cristo, quando
torna a penitenza: sia anatema.
12. Se qualcuno
afferma che nessuno debba essere battezzato, se non all’età in cui fu
battezzato Cristo, o addirittura in punto di morte: sia anatema.
13. Se qualcuno
afferma che i bambini, poiché non hanno la capacità di credere, ricevuto il
battesimo non devono essere considerati cristiani e quindi divenuti adulti,
devono essere ribattezzati; o che è meglio omettere il loro battesimo,
piuttosto che battezzarli nella fede della chiesa, senza un loro atto di fede
(184): sia anatema.
14. Se qualcuno
afferma che questi bambini, una volta cresciuti, devono essere interrogati, se
intendono confermare quello che i padrini, quando furono battezzati, promisero
a loro nome, e che qualora rispondessero negativamente, devono essere lasciati
padroni di sé stessi e non devono esser costretti alla vita cristiana con altra
pena che con l’allontanamento dall’eucarestia e dagli altri sacramenti, fino a
che non si ricredano: sia anatema.
CANONI SUL
SACRAMENTO DELLA CONFERMAZIONE
1. Se qualcuno
afferma che la confermazione dei battezzati è una vana cerimonia (185), e non,
invece, un vero e proprio sacramento o che un tempo non è stata altro che un
tipo di catechesi, per cui quelli che si avvicinavano all’adolescenza rendevano
conto della propria fede dinanzi alla chiesa: sia anatema.
2. Se qualcuno
afferma che ingiuriano lo Spirito santo quelli che attribuiscono una certa
efficacia al crisma della confermazione: sia anatema.
3. Se qualcuno
afferma che il ministro ordinario della confermazione non è solo il vescovo
(186) ma qualsiasi semplice sacerdote: sia anatema.
Decreto secondo: La riforma
Il medesimo
sacrosanto concilio, sotto la presidenza degli stessi legati, volendo
proseguire la trattazione del problema, già iniziato, della residenza e della
riforma, a gloria di Dio e ad incremento della religione cristiana, ha creduto
bene stabilire quanto segue, salva sempre in ogni prescrizione l’autorità della
sede apostolica.
1. Al governo delle chiese cattedrali non venga assunto se
non chi è nato da legittimo matrimonio, ha un’età matura, spicca per serietà di
costumi e per la conoscenza delle lettere, conformemente alla costituzione di
Alessandro III, che comincia: Cum in cunctis, promulgata nel concilio
Lateranense (187).
2. Nessuno,
qualunque possa essere la sua dignità, il suo grado, o la preminenza, osi
ricevere e tenere nello stesso tempo, contro le disposizioni dei sacri canoni
(188), più chiese metropolitane o cattedrali, in titolo o in commenda, o sotto
qualsiasi altra forma, dovendosi stimare fortunato colui, che abbia in sorte di
reggere bene, fruttuosamente e con la salvezza delle anime a lui affidate, una
sola chiesa. Chi poi, contro quanto prescrive il presente decreto, avesse ora
più chiese, ne ritenga una sola, quella che preferisce; sia obbligato a
lasciare le altre, entro sei mesi, se esse sono a libera disposizione della
santa sede, altrimenti, entro un anno. In caso diverso le stesse chiese
(eccettuata solo quella che è stata ottenuta per ultima) siano considerate
immediatamente vacanti (189).
3. I benefici ecclesiastici inferiori, specie quelli che
comportano cura d’anime, siano assegnati a persone degne e capaci, che possano
risiedere in luogo ed esercitare personalmente la stessa cura, secondo la
costituzione di Alessandro III, che comincia: Quia nonnulli, emanata nel
concilio lateranense (190), e l’altra di Gregorio X, che inizia: Licet canon,
emanata nel concilio generale di Lione (191). Il conferimento o la provvisione
fatta in altro modo sia assolutamente nulla e l’ordinario collatore sappia di
incorrere nelle pene previste dalla costituzione del concilio generale, che
inizia con le parole: Grave nimis (192).
4. Chiunque, in futuro, credesse di poter ricevere e
ritenere nello stesso tempo più benefici con cura d’anime o altri benefici
incompatibili, sia per mezzo di una unione a vita, sia in commenda perpetua, o
con qualsiasi altra denominazione o titolo, contro le prescrizioni dei sacri
canoni, e specialmente della costituzione di Innocenzo III, che inizia: De
multa (193), sia privato, in conformità di quanto prescrive la stessa
costituzione ed in forza del presente canone, degli stessi benefici.
5. Gli ordinari locali costringano severamente quelli che
hanno più benefici con cura d’anime o altri benefici ecclesiastici
incompatibili, a mostrare le proprie dispense e procedano del resto secondo la
costituzione di Gregorio X, emanata nel concilio generale di Lione, che
comincia: Ordinarii (194), e che questo santo sinodo crede dover
rinnovare e di fatto rinnova. Esso aggiunge inoltre che gli stessi ordinari
provvedano senz’altro con la designazione di vicari idonei e l’assegnazione di
una congrua parte dei frutti, perché in nessun modo venga trascurata la cura
delle anime, e gli stessi benefici non manchino assolutamente del servizio
dovuto. In ciò, non serviranno a nulla né gli appelli, né i privilegi, né le
esenzioni di qualsiasi natura, anche con intervento di giudici speciali per
impedire queste disposizioni.
6. Le unioni
perpetue, fatte negli ultimi quarant’anni, possono essere esaminate dagli
ordinari come delegati della sede apostolica e quelle che sono state ottenute
con sotterfugi o con inganni siano dichiarate nulle. Quelle invece che,
concesse da quel tempo in poi, hanno ottenuto solo in parte il loro effetto ed
anche quelle che saranno fatte in seguito ad istanza di chiunque, salvo il caso
di motivi legittimi o comunque ragionevoli - motivi da verificarsi dinanzi
all’ordinario locale, convocati gli interessati - si considerino ottenute con
sotterfugi, e quindi (se la sede apostolica non dichiarerà diversamente), non
abbiano nessun valore.
7. I benefici
ecclesiastici con cura d’anime, uniti e annessi in perpetuo alle cattedrali,
alle collegiate o ad altre chiese e monasteri, benefici, collegi o luoghi pii
di qualsiasi tipo, siano visitate ogni anno dagli ordinari locali; essi
procureranno con sollecitudine che, con vicari adatti, anche perpetui (a meno
che agli ordinari stessi non sembri opportuno far diversamente per il buon
governo delle chiese), destinando ad essi la terza parte delle rendite o con
una porzione maggiore o minore a giudizio degli stessi ordinari, - da
prelevarsi sempre da un cespite certo - venga esercitata lodevolmente la cura
delle anime. Ogni appello, ogni privilegio, ogni esenzione, anche con
intervento dei giudici e con loro ingiunzione, non avrà nessun effetto.
8. Gli ordinari
locali siano tenuti, ogni anno, a visitare con autorità apostolica tutte le chiese
in qualsiasi modo esenti (195) e a provvedere con gli opportuni rimedi
giuridici che quelle bisognose di restauro siano riparate, e non siano affatto
private né della cura delle anime, se è annessa ad esse, né degli altri servizi
loro dovuti. Gli appelli, i privilegi, le consuetudini, anche se stabilite da
tempo immemorabile, e le ingiunzioni dei giudici sono del tutto esclusi.
9. Quelli che sono
stati promossi alle chiese maggiori, ricevano la consacrazione entro il tempo
stabilito dal diritto (196); proroghe concesse oltre sei mesi non siano
riconosciute ad alcuno.
10. Non è lecito ai
capitoli delle chiese, durante la vacanza della sede, concedere ad alcuno,
entro un anno dal giorno della medesima, la facoltà di ordinare o le lettere
dimissorie o reverende (come alcuni le chiamano), sia in base al diritto comune
(197), sia in forza di qualsiasi privilegio o consuetudine, a chi non è
costretto dall’occasione di un beneficio ecclesiastico ricevuto o da ricevere.
Se accade diversamente, il capitolo che contravviene sia
sottoposto all’interdetto ecclesiastico e quelli che sono stati ordinati in
questo modo, se hanno ricevuto gli ordini minori, siano esclusi da qualsiasi
privilegio clericale, specie nelle questioni criminali; se sono stati
costituiti negli ordini maggiori, siano sospesi ipso iure dall’esercizio
di essi, a giudizio del prelato che verrà.
11. Le facoltà per
essere ordinati da chiunque non saranno valide se non per quelli che hanno una
legittima causa, per cui non possono essere ordinati dai propri vescovi; causa
che deve essere esposta per iscritto. Ed in questo caso, non vengano ordinati
se non da un vescovo che risieda nella sua diocesi, o da chi ne sia stato
delegato, e non senza previo diligente esame.
12. Le facoltà di
non promuovere, eccetto i casi espressamente previsti dal diritto (198),
valgono solo per un anno.
13. Quelli che
fossero stati presentati, eletti o nominati da qualsivoglia persona
ecclesiastica, anche nunzi della sede apostolica, non siano nominati,
confermati o ammessi a nessun beneficio ecclesiastico, neppure col pretesto di
qualsiasi privilegio o consuetudine, anche se stabilita da tempo immemorabile,
se prima non sono stati esaminati dagli ordinari locali e trovati idonei. E
nessuno creda di potersi esimere dal subire questo esame, servendosi
dell’appello. Sono tuttavia eccettuati coloro che sono stati presentati,
eletti, o nominati dalle università o dai collegi degli studi generali.
14. Nelle cause degli esenti, sia osservata la costituzione
di Innocenzo IV, che inizia: Volentes, emanata nel concilio generale di
Lione (199), che lo stesso sacrosanto sinodo crede di dover rinnovare e
rinnova. E aggiunge che nelle cause civili circa le paghe di persone povere i
chierici secolari, o i regolari che vivono fuori del monastero, in qualsiasi
modo esenti, anche se hanno un determinato giudice assegnato alle parti dalla
sede apostolica, o nelle altre cause se non hanno lo stesso giudice possono
esser chiamati dinanzi agli ordinari locali, come delegati in ciò dalla stessa
sede apostolica, e esser obbligati e costretti a pagare il debito secondo il
diritto comune. I privilegi, le esenzioni, le designazioni dei conservatori e
le loro proibizioni contro quanto abbiamo premesso, non serviranno a nulla.
15. Gli ordinari abbiano cura che gli ospedali di qualsiasi
genere vengano governati dai loro amministratori, comunque essi si chiamino ed
in qualsiasi modo esenti, con fedeltà e diligenza, secondo la forma della
costituzione del concilio di Vienne, che comincia: Quia contingit (200).
Lo stesso santo sinodo intende rinnovare e rinnova questa costituzione, con le
deroghe che essa contiene.
Indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto sinodo ha pure stabilito e ordinato che la prossima
futura sessione debba tenersi e celebrarsi il giovedì, feria quinta dopo la
prossima domenica in Albis, che sarà il giorno 21 aprile del presente anno 1547
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