SESSIONE I (13 dicembre 1545)
(Decreto di inizio del concilio).
Reverendi Padri,
credete opportuno, a lode e gloria della santa e indivisa Trinità, Padre,
Figlio e Spirito santo, per l’incremento e l’esaltazione della fede e della
religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e l’unione
della chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la repressione e
l’estinzione dei nemici del nome cristiano, decretare e dichiarare aperto il
sacro, generale concilio tridentino? [Risposero: sì].
(Indizione della futura sessione).
E poiché è già
prossima la solennità della natività del signore nostro Gesù Cristo e
seguiranno le altre festività del termine e dell’inizio dell’anno, credete bene
che la prima futura sessione del concilio si debba tenere il giovedì dopo
l’Epifania, che sarà il giorno 7 gennaio dell’anno del Signore I546?
[Risposero: sì].
SESSIONE II (7 gennaio 1546)
(Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi
nel concilio).
Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito
nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede
apostolica, ben sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci
vien dato ed ogni dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi
(1) - il quale a quelli che domandano la sapienza dà a tutti abbondantemente
senza rimproveri (2) - ed anche che l’inizio della sapienza è il timore
di Dio (3), ha stabilito che debbano esortarsi - ed esorta di fatto - tutti
i fedeli cristiani raccolti nella città di Trento, perché vogliano correggersi
del male e dei peccati finora commessi, e, nel futuro, camminare nel timore del
Signore, e non seguire i desideri della carne (4), perché vogliano esser
assidui alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento
dell’eucarestia, frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno
lo potrà, i comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la
pace dei principi cristiani e per l’unità della chiesa.
Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro sacerdote che si trovi
in questa città per la celebrazione del concilio ecumenico, li esorta a voler
attendere assiduamente alle lodi di Dio, offrendo sacrifici, lodi, preghiere,
celebrando il sacrificio della messa almeno ogni domenica, giorno nel quale il
Signore creò la luce, risorse dai morti, ed effuse lo Spirito santo sui
discepoli. Offrano, come lo stesso Spirito santo comanda per mezzo degli
apostoli, suppliche, preghiere, richieste, rendimenti di grazie (5), per
il santissimo nostro signore il papa, per l’imperatore, per i re, per tutti
gli altri che sono costituiti in autorità e per tutti gli uomini, perché
conduciamo una vita quieta e tranquilla (6), possiamo goder della pace e
vedere l’espansione della fede.
Li esorta, inoltre,
a voler digiunare almeno ogni venerdì, in memoria della passione del Signore e
a far elemosine ai poveri.
Nella chiesa
cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa dello Spirito santo, con le
litanie e le altre preghiere stabilite a questo scopo. Nelle altre chiese vengano
dette nello stesso giorno almeno le litanie e le orazioni. E durante il tempo
delle funzioni sacre, non si chiacchieri e non si raccontino storie, ma si
assista il celebrante con la bocca e col cuore.
E poiché bisogna che i vescovi siano irreprensibili,
sobri, casti, bravi amministratori della loro casa (7), li esorta anche
affinché prima di tutto ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e la moderazione
nei cibi; e poi, dato che in essa, di solito, si tengono discorsi oziosi,
perché nelle mense dei vescovi si faccia sempre un po’ di lettura della
Scrittura.
Ognuno istruisca e
cerchi di educare i suoi familiari, perché sfuggano le risse, il vino, la
disonestà, la cupidigia; perché non siano superbi, né bestemmiatori o amanti
dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e abbraccino le virtù; nel modo di
vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra azione si mostrino onesti, come si
addice ai servi dei servi di Dio.
Inoltre, poiché la principale preoccupazione, sollecitudine,
intenzione di questo sacrosanto concilio è che, - dissipate le tenebre delle
eresie, che per tanti anni hanno imperversato sulla terra, - con l’aiuto di
Gesù Cristo, luce vera (8), risplenda la luce, lo splendore, la purezza della
verità cattolica, e sia riformato ciò che ne ha bisogno, lo stesso concilio
esorta tutti i cattolici, convenuti o che converranno a Trento, e in modo
particolare quelli che hanno una particolare conoscenza delle sacre scritture,
perché vogliano seriamente riflettere per quali vie e con quali mezzi
specialmente possa realizzarsi l’intenzione del concilio e sia conseguito
l’effetto desiderato: una sollecita e consapevole condanna degli errori, la
conferma delle cose degne di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con
una sola voce e con la confessione della stessa fede glorifichino Dio,
Padre del signore nostro Gesù Cristo (9).
Nell’esporre, poi,
le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del Signore siedono nel luogo della
benedizione - secondo quanto stabilisce il concilio Toletano (10), nessuno deve
strepitare con espressioni smodate, o disturbare con tumulti; così come non
deve far valere le sue idee con dispute false, vane, ostinate. Tutto ciò che
viene detto, invece, sia moderato da una forma così mite, che né offenda chi
ascolta, né offuschi, per lo sconvolgimento dell’animo, il sereno giudizio
della mente.
Lo stesso santo
concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante il concilio
qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto e con la
partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per alcuno né
acquisizione di diritti.
SESSIONE III (4 febbraio 1546)
Si accoglie il simbolo della fede cattolica.
Nel nome della Santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e
Spirito santo. Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico tridentino,
legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi
tre legati della sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da
trattare, specie di quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione
delle eresie e della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato
radunato; ben comprendendo, con l’Apostolo, che esso non deve lottare con la
carne e il sangue, ma contro gli esseri spirituali del male che abitano le
regioni celesti (11), con lo stesso apostolo esorta, in primo luogo, tutti
e singoli, perché siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza;
imbracciando in ogni cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti
i dardi infuocati del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della
salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio (12).
Perché, quindi, questa sua materna sollecitudine abbia
inizio e progredisca per la grazia di Dio, prima di tutto stabilisce e dispone
di premettere la professione di fede. Esso segue, in ciò, l’esempio dei padri,
i quali usarono opporre nei concili più venerandi questo scudo contro ogni
eresia, all’inizio della loro attività; solo con esso condussero gli infedeli
alla fede, espugnarono gli eretici, confermarono i fedeli. Ha creduto bene,
quindi, che si professi il simbolo della fede in uso presso la santa chiesa
Romana, come principio in cui tutti quelli che professano la fede di Cristo
necessariamente convengono, e come fondamento fermo e unico, contro il quale le
porte dell’inferno non prevarranno mai (13), con le esatte parole, con cui
si legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in un solo Dio, Padre
onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti gli esseri, visibili e
invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di
Dio, nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio
vero da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del
quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza Egli
è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera dello Spirito
santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,
ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È risuscitato il terzo giorno secondo
le scritture, è salito al cielo e siede alla destra del Padre. Verrà di nuovo
nella gloria per giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. Credo
nello Spirito santo, signore e vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio.
Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed ha parlato per
bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e apostolica.
Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed aspetto la
resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.
Data della futura sessione.
Lo stesso sacrosanto concilio tridentino ecumenico e
generale, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza degli
stessi tre legati della sede apostolica, considerando che molti prelati si sono
accinti al viaggio da diverse parti, che alcuni sono già in via per venire qui,
e che tutto quello che dovrà esser deciso dallo stesso santo sinodo potrà
incontrare presso tutti una stima ed un onore tanto più grandi, quanto più
completa sarà l’assemblea e più numerosa la presenza dei padri che l’hanno
sancito e rafforzato, ha stabilito e deciso che la sessione, successiva a
questa sia celebrata il giovedì, che seguirà la prossima domenica Laetare.
In questo
intervallo, tuttavia, non verrà sospesa la discussione e l’esame di quegli
argomenti che sembrerà opportuno allo stesso sinodo discutere ed esaminare.
SESSIONE IV (8 aprile 1546)
Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni
apostoliche.
Il sacrosanto,
ecumenico e generale concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito
santo, sotto la presidenza dei medesimi tre legati della sede apostolica, ha
sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la
stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo attraverso i
profeti nelle scritture sante (l4), il signore nostro Gesù Cristo, figlio di
Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse predicato ad ogni
creatura (15) per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni verità salvifica
e della disciplina dei costumi.
E poiché il sinodo
sa che questa verità e disciplina è contenuta nei libri scritti e nelle
tradizioni non scritte - che raccolte dagli apostoli dalla bocca dello stesso
Cristo e dagli stessi apostoli, sotto l’ispirazione dello Spirito santo,
tramandate quasi di mano in mano (16), sono giunte fino a noi, — seguendo
l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà e pari riverenza accoglie e
venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento, - Dio, infatti,
è autore dell’uno e dell’altro ed anche le tradizioni stesse, che riguardano la
fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o
dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella chiesa
cattolica.
E perché nessuno
possa dubitare quali siano i libri accettati dallo stesso sinodo come sacri,
esso ha creduto opportuno aggiungere a questo decreto l’elenco.
Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi,
Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè,
Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni;
il primo e il secondo di Esdra (che è detto di Neemia); Tobia,
Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di David; i Proverbi,
l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza, l’Ecclesiastico,
Isaia, Geremia con Baruch, Ezechiele, Daniele;
i dodici Profeti minori, cioè: Osea, Gioele, Amos, Abdia,
Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,
Zaccaria, Malachia; i due dei Maccabei, primo e secondo.
Del nuovo Testamento: i quattro Evangeli: secondo
Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti
dall’evangelista Luca; le quattordici Lettere dell’Apostolo Paolo: ai Romani,
due ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi,
ai Colossesi, due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a
Tito, a Filemone, agli Ebrei; due dell’apostolo Pietro, tre
dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una dell’apostolo Giuda, e
l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.
Se qualcuno, poi,
non accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro
parti, come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano
nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le
predette tradizioni, sia anatema.
Sappiano quindi
tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della
confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e
difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi
nella chiesa.
Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia
e si prescrive il modo ai interpretare la sacra Scrittura ecc.
Lo stesso sacrosanto
sinodo, considerando, inoltre, che la chiesa di Dio potrebbe ricavare non
piccola utilità, se si sapesse quale, fra tutte le edizioni latine dei libri
sacri, che sono in uso, debba essere ritenuta autentica, stabilisce e dichiara
che questa stessa antica edizione volgata, approvata nella chiesa dall’uso di
tanti secoli, si debba ritenere come autentica nelle pubbliche letture, nelle
dispute, nella predicazione e che nessuno osi o presuma respingerla con
qualsiasi pretesto.
Inoltre, per
reprimere gli ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla
propria saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la
dottrina cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di
vedere, osi interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la
santa madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e
dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso
dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai pubblicate.
Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo il diritto.
Ma, volendo anche
com’è giusto, imporre un limite in questo campo agli editori, i quali, ormai,
senza alcun criterio - credendo che sia loro lecito tutto quello che loro piace
— stampano, senza il permesso dei superiori ecclesiastici, i libri della sacra
scrittura con note e commenti di chiunque indifferentemente, spesso tacendo il
nome dell’editore, spesso nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più
grave, - senza il nome dell’autore, e pongono in vendita altrove,
temerariamente, questi libri stampati, il concilio prescrive e stabilisce che,
d’ora in poi la sacra scrittura - specialmente questa antica volgata edizione,
sia stampata nel modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare
libri di soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche
tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati
dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal canone
dell’ultimo concilio Lateranense (17).
Se si trattasse di
religiosi, oltre a questo esame e a questa approvazione, siano obbligati ad
ottenere anche la licenza dei loro superiori, dopo che questi avranno esaminato
i libri secondo le prescrizioni delle loro regole.
Chi comunica o
diffonde per iscritto tali libri, senza che siano stati prima esaminati ed
approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate agli stampatori. Quelli
che li posseggono o li leggono, se non diranno il nome dell’autore, siano
considerati come autori. L’approvazione di questi libri venga data per
iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro, sia esso scritto a
mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti, così che le cose da
approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da riprovarsi.
Volendo infine
reprimere il temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura
vengono adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose,
vane, adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici,
divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina per
togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in avvenire
nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra scrittura per
indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della parola di Dio,
siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione dei vescovi
stessi.
Terzo decreto: Indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto
concilio stabilisce e comanda che la futura sessione debba esser celebrata il
giovedì dopo la prossima santissima festa di Pentecoste.
SESSIONE V (I7 giugno 1546)
Decreto sul peccato originale.
Perché la nostra fede cattolica, senza la quale è
impossibile piacere a Dio (18), rimossi gli errori, resti integra e pura e
perché il popolo cristiano non sia turbato da ogni vento di dottrina
(19) dal momento che l’antico, famoso serpente (20), sempre nemico del genere
umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa di Dio in questi
nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del
peccato originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale
concilio tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la
presidenza degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare
gli erranti e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre
scritture, dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il
consenso della chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul
peccato originale.
1. Chi non ammette che il primo uomo Adamo, avendo
trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la santità e la
giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per questo peccato di
prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e, quindi, nella morte, che
Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte, nella schiavitù di colui che,
in seguito, ebbe il potere della morte e cioè il demonio (21); e che
Adamo per quel peccato di prevaricazione fu peggiorato nell’anima e nel corpo:
sia anatema.
2. Chi afferma che la prevaricazione di Adamo nocque a lui
solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per sé soltanto, e non
anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto da Dio; o che egli,
inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a tutto il genere umano
solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche il peccato, che è la
morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti all’apostolo, che afferma: Per
mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte,
e così la morte si trasmise a tutti gli uomini, perché in lui tutti
peccarono (22).
3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua
origine, trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a
tutti, ed è proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura
umana, o con altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il
signore nostro Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo
sangue (23), diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione
(24); o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato sia agli
adulti che ai bambini col sacramento del battesimo, rettamente conferito
secondo il modo proprio della chiesa: sia anatema. Perché non esiste sotto
il cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere
salvi (25). Da cui l’espressione: Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che
toglie i peccati del mondo (26) e l’altra: Tutti voi che siete stati
battezzati, vi siete rivestiti di Cristo (27).
4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser
battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi sono
battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da Adamo alcun
peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della
rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma
del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa
sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice
l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col
peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli
uomini hanno peccato (28), se non nel senso in cui la chiesa cattolica
universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione
apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato,
vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la rigenerazione
quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non
rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio
(29).
5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù
Cristo, conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se
asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma
solo cancellato o non imputato (30) sia anatema. In quelli infatti che sono
rinati a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione
per coloro (31) che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte
(32), i quali non camminano secondo la carne (33), ma spogliandosi
dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo (34), che è stato creato secondo
Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza macchia, figli cari a
Dio, eredi di Dio e coeredi di Cristo (35); di modo che assolutamente
nulla li trattiene dall’ingresso nel cielo.
Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati
rimane la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta,
non può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente
con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi avrà combattuto secondo le regole,
sarà coronato (36).
Il santo sinodo
dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso che venga chiamato
"peccato" la concupiscenza, qualche volta chiamata dall’apostolo
peccato (37), per il fatto che nei rinati alla grazia non è un vero e proprio
peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso inclina. Chi pensasse il
contrario sia anatema.
6. Questo santo
sinodo dichiara tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo
decreto, dove si tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine
Maria, madre di Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le
costituzioni di papa Sisto IV (38), di felice memoria, sotto pena di incorrere
nelle sanzioni in esse contenute che il sinodo rinnova.
Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la
predicazione.
1. Lo stesso
sacrosanto sinodo, aderendo alle pie costituzioni dei sommi pontefici e dei
concili approvati, le fa sue; e volendo completarle, perché non avvenga che il
tesoro celeste dei libri sacri, che lo Spirito santo ha dato agli uomini con
somma liberalità, rimanga trascurato, ha stabilito e ordinato che nelle chiese,
in cui vi sia una prebenda o una dotazione, o uno stipendio comunque chiamato
destinato ai lettori di sacra teologia, i vescovi, gli arcivescovi, i primati e
gli altri ordinari locali obblighino, anche con la sottrazione dei frutti
relativi, quelli che hanno questa prebenda, dotazione o stipendio, ad esporre e
spiegare la sacra scrittura personalmente, se sono idonei, altrimenti per mezzo
di un sostituto adatto, da scegliersi dai vescovi, dagli arcivescovi, dai
primati e dagli altri ordinari stessi.
Per il futuro tale
prebenda, dotazione o stipendio non dovrà esser conferito se non a persone
adatte, che siano capaci di esplicare tale ufficio da se stessi. Ogni provvista
fatta altrimenti sia nulla e invalida.
2. Nelle chiese metropolitane o cattedrali, se la città è
importante e popolosa, ed anche nelle collegiate che si trovassero in un centro
importante, - anche di nessuna diocesi, - purché vi sia numeroso clero, qualora
non si trovi prebenda, dotazione o stipendio da destinare a questo scopo, si
consideri ipso facto destinata per sempre a ciò la prima prebenda che in
qualsiasi modo si renda vacante, salvo il caso di rinunzia e qualora vi sia
annesso un altro onere incompatibile. Se non vi fosse in queste stesse chiese
alcuna prebenda o fosse insufficiente, il metropolita o il vescovo stesso, con
l’assegnazione dei frutti di un beneficio semplice (di cui però bisogna
soddisfare gli oneri), o col contributo dei beneficiati della sua città e
diocesi, o anche in altro modo, come si potrà fare più facilmente, col
consiglio del capitolo provveda in maniera tale, che si abbia la lettura della
sacra scrittura. Ciò però, avvenga in modo che qualsiasi altra lettura,
istituita o consuetudinaria non sia, per questo motivo, omessa.
3. Quelle chiese i
cui proventi annuali fossero limitati, o dove il clero e il popolo fosse tanto
scarso, da non potersi tenere opportunamente la lezione di teologia, abbiano
almeno un maestro, scelto dal vescovo col consiglio del capitolo, che insegni
gratuitamente la grammatica ai chierici e agli altri scolari poveri, perché,
con l’aiuto di Dio, possano poi passare agli studi della sacra scrittura. Il
maestro di grammatica riceva i frutti di un beneficio semplice fino a che
eserciterà tale ufficio senza che, tuttavia, il beneficio stesso sia distolto
dal proprio scopo, o un adeguato compenso dalla mensa capitolare o vescovile o
il vescovo stesso escogiti qualche altro mezzo adatto alla sua chiesa e
diocesi, perché questa pia, utile e così fruttuosa disposizione, sotto qualsiasi
pretesto, non venga trascurata.
4. Anche nei
monasteri dove possa essere convenientemente realizzata, si tenga tale lettura
della sacra scrittura. Se gli abati fossero negligenti, i vescovi quali
delegati della sede apostolica, li costringano a farlo con i mezzi opportuni.
5. Nei conventi dei
regolari, in cui gli studi possono essere facilmente coltivati la lezione di
sacra scrittura abbia ugualmente luogo, essa sia assegnata dai capitoli
generali o provinciali ai maestri più degni.
6. Anche nei ginnasi
pubblici, dove questa lezione, più necessaria di tutte le altre non fosse stata
ancora istituita, sia attivata dalla pietà e dalla carità dei religiosissimi
principi e delle repubbliche, per la difesa e l’incremento della fede cattolica
e per la conservazione e propagazione della sana dottrina. E dove fosse stata
istituita ma fosse trascurata, la si rimetta in auge.
7. E perché sotto
l’apparenza della pietà non venga diffusa l’empietà, lo stesso santo sinodo
stabilisce che nessuno debba essere ammesso a tale ufficio di lettore, sia in
pubblico che in privato, se prima non è stato esaminato dal vescovo del luogo
circa la sua vita, i suoi costumi, la sua scienza, e approvato. Ciò, tuttavia,
non si applica ai lettori dei monasteri.
8. Gli insegnanti di
sacra scrittura, nel tempo in cui insegnano pubblicamente nelle scuole, e così
pure gli studenti godano ed usufruiscano di tutti i privilegi concessi dal
diritto di percepire i frutti delle loro prebende e dei loro benefici anche
durante la loro assenza.
9. Poiché, tuttavia,
alla società cristiana non è meno necessaria la predicazione del Vangelo, che
la sua lettura, e questo è il principale ufficio dei vescovi (39), lo stesso
santo sinodo ha stabilito e deciso che tutti i vescovi, arcivescovi, primati, e
tutti gli altri prelati di chiese siano tenuti a predicare personalmente il
santo Vangelo di Gesù Cristo se non ne sono legittimamente impediti.
10. Se i vescovi e
le altre persone nominate fossero impedite da un legittimo motivo, siano
tenuti, conformemente a quanto prescrive il concilio generale (40), a farsi
sostituire da persone adatte per questo ufficio della predicazione. Se qualcuno
trascurasse di adempiere ciò, sia sottoposto ad una pena severa.
11. Anche gli
arcipreti, i pievani, e tutti coloro che abbiano cura d’anime nelle parrocchie
o altrove, personalmente o per mezzo d’altri se ne fossero legittimamente
impediti, almeno nelle domeniche e nelle feste più solenni, nutrano il popolo
loro affidato con parole salutari, secondo la propria e la loro capacità,
insegnando quelle verità che sono necessarie a tutti per la salvezza e facendo
loro conoscere, con una spiegazione breve e facile, i vizi che devono fuggire e
le virtù che devono praticare, per evitare la pena eterna e conseguire la
gloria celeste.
Se poi qualcuno di loro fosse negligente anche se
pretendesse di essere esente dalla giurisdizione del vescovo per qualsiasi
motivo o anche se le chiese fossero ritenute in qualsiasi modo esenti, o forse
annesse o unite a qualche monastero, situato magari fuori diocesi, purché in
realtà si trovino nella diocesi, non manchi la provvidenziale sollecitudine dei
vescovi, perché non debba avverarsi il detto: I piccoli chiesero il pane e
non vi era chi lo spezzasse loro (41) Se però, pur ammoniti dal vescovo,
per tre mesi mancassero al loro ufficio, vi siano costretti con le censure
ecclesiastiche, o in altro modo secondo la decisione dello stesso vescovo. Se a
lui sembrasse opportuno, potrà anche esser dato ad altri un onesto compenso sui
frutti del beneficio perché compia questo dovere, fino a che il titolare si
ravveda e adempia il suo dovere.
12. Nelle chiese
parrocchiali soggette a monasteri non dipendenti da alcuna diocesi, qualora gli
abati e i superiori dei religiosi fossero negligenti in ciò che abbiamo detto,
vi siano costretti dai metropoliti, nelle cui province si trovano le stesse
diocesi, i quali si considereranno, in questa occasione, delegati della sede
apostolica.
Né valgano ad
impedire l’esecuzione di qesto decreto la consuetudine, l’esenzione, l’appello
o il reclamo, cioè il ricorso, fino a che il giudice competente, con
procedimento sommario e tenendo solo conto della verità del fatto, non abbia
esaminato e deciso l’argomento.
13. I religiosi di
qualunque ordine, se non sono stati esaminati e approvati dai loro superiori
circa la vita, i costumi e la scienza, e se non consta di questa loro licenza,
non potranno predicare neppure nelle chiese dei loro ordini. Essi devono
presentarsi con essa personalmente ai vescovi e chiedere la loro benedizione,
prima di dare inizio alla predicazione (42).
14. I religiosi
nelle chiese, che non appartengono al loro ordine, oltre alla licenza dei loro
superiori, sono tenuti ad avere anche quella del vescovo; senza di essa, non
potranno in nessun caso predicare nelle chiese che non sono del loro ordine
(43). Questa licenza i vescovi la concedano gratuitamente.
15. Se un
predicatore seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche se predica in
un monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli proibisca la
predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui secondo il
diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di essere esente
per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo proceda con
autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I vescovi
impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o comunque
calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.
16. I vescovi
inoltre abbiano cura che nessuno dei regolari viva fuori del convento e
dell’obbedienza del proprio ordine, o che un sacerdote secolare (a meno che sia
loro noto e possano approvarne i costumi e la dottrina) predichi nella loro
città o diocesi, anche col pretesto di qualsiasi privilegio, fino a quando dagli
stessi vescovi non sia stata consultata a questo proposito la santa sede
apostolica, da cui, a meno che non si sia taciuta la verità o non si sia detta
una menzogna, è difficile che gli immeritevoli possano estorcere tali
privilegi.
17. I raccoglitori di
elemosine (44), che con espressione popolare, sono detti ‘questuantl’, di
qualsiasi condizione essi siano, non presumano in nessun modo di poter
predicare, sia personalmente, che per mezzo di altri. Chi facesse il contrario,
ne sia assolutamente impedito con opportuni rimedi dai vescovi e dagli ordinari
dei luoghi, non ostante qualsiasi privilegio.
Decreto di indizione della futura sessione.
Questo sacrosanto
sinodo stabilisce e determina che la futura sessione si tenga e celebri il
giovedì, feria quinta dopo la festa di S. Giacomo apostolo.
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