SESSIONE VI (13 gennaio I547)
Decreto sulla giustificazione
Proemio
In questi anni è stata divulgata con grave danno per molte
anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea sulla giustificazione.
Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico e generale, riunito
legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di Dio onnipotente, per la
tranquillità della chiesa e per la salvezza delle anime, sotto la presidenza
dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte, cardinale vescovo di
Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del titolo di S. Croce in
Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e legati apostolici de
latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e signore Paolo III,
per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i fedeli cristiani la vera
e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo, sole di giustizia (45),
autore e perfezionatore della nostra fede (46), ha insegnato che gli apostoli
hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto l’ispirazione dello Spirito
santo, ha sempre ritenuto. E proibisce assolutamente che, d’ora innanzi,
qualcuno osi credere, predicare e insegnare diversamente da quello che col
presente decreto si stabilisce e si dichiara.
Capitolo I.
L’impotenza della natura e della legge a giustificare gli
uomini.
Prima di tutto il
santo sinodo dichiara che, per una
conoscenza esatta e corretta della dottrina della
giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli uomini,
perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi (47) e (come
dice l’apostolo) per natura figli dell’ira (48), come ha esposto nel
decreto sul peccato originale, erano talmente servi del peccato (49) e sotto il
potere del diavolo e della morte, che non solo i gentili con le forze della
natura, ma neppure i Giudei con l’osservanza della lettera della legge di Mosè
potevano esserne liberati e risollevati, anche se in essi il libero arbitrio
non era affatto estinto, ma solo attenuato e indebolito.
Capitolo II.
L’economia della salvezza e il mistero della venuta di
Cristo.
Perciò il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio
di ogni consolazione (50), quando giunse quella beata pienezza dei tempi
(51), mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso, sia
prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri,
affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge (52), e i
gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia (53);
e tutti ricevessero l’adozione di figli (54). Questo Dio ha posto quale
propiziatore mediante la fede nel suo sangue (55), per i nostri peccati,
e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto l’universo (56).
Capitolo III.
Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.
Ma benché egli sia risorto per tutti (57), tuttavia
non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma solo quelli cui viene
comunicato il merito della sua passione.
Come infatti gli
uomini, in concreto, se non nascessero dalla discendenza del seme di Adamo, non
nascerebbero ingiusti, proprio perché con questa propagazione, quando vengono
concepiti, contraggono da lui la propria ingiustizia: così se essi non
rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai essere giustificati, proprio perché
con quella rinascita viene attribuita loro, per il merito della sua passione la
grazia per cui diventano giusti.
Per questo beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre
grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi
nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel
regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la remissione
dei peccati (58).
Capitolo IV.
Descrizione della giustificazione dell’empio.
Suo modo sotto la grazia.
Queste parole indicano chiaramente che la giustificazione
dell’empio è il passaggio dallo stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo
Adamo, allo stato di grazia e di adozione dei figli di Dio (59), per mezzo del
secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro Salvatore. Questo passaggio, dopo la
promulgazione del Vangelo, non può avvenire senza il lavacro della
rigenerazione o senza il desiderio di esso, conformemente a quanto sta scritto:
Se uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di
Dio (60).
Capitolo V.
Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e
da dove essa scaturisce.
Dichiara ancora il
concilio che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prender la
mosse dalla grazia preveniente di Dio, per mezzo di Gesù Cristo, cioè della
chiamata, che essi ricevono senza alcun loro merito, di modo che quelli che coi
loro peccati si erano allontanati da Dio, disposti dalla sua grazia, che
sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso la loro giustificazione, accettando e
cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore
dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti
assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere,
né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi alla
giustizia dinanzi a Dio.
Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi
a me, ed io mi rivolgerò a voi (61), si accenna alla nostra libertà e
quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi ritorneremo (62),
noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.
Capitolo VI.
Il modo di prepararsi.
Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando,
eccitati ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto
(63), Si volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato
divinamente rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato
da Dio col dono della sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo
Gesù (64). Parimenti accade quando, riconoscendo di essere peccatori,
scossi dal timore della divina giustizia passano a considerare la misericordia
di Dio e sentono nascere in sé la speranza, confidando che Dio sarà loro
propizio a causa del Cristo, e cominciano ad amarlo come fonte di ogni
giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il peccato con odio e detestazione,
cioè con quella penitenza, che bisogna fare prima del battesimo; infine si
propongono di ricevere il battesimo, di cominciare una nuova vita e di
osservare i comandamenti divini.
Di questo atteggiamento sta scritto: È necessario che
chiunque nascosta Dio, creda che egli esiste e che ricompensa quelli che lo
cercano (65); e: Confida, figlio, ti sono rimessi i tuoi peccati (66); come
pure: Il timore del Signore scaccia il peccato (67); e: Fate penitenza e ciascuno
di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri
peccati e riceverete il dono dello Spirito santo (68); e: Andate dunque e
istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e
dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato
(69) Finalmente: Rivolgete al Signore i vostri cuori (70).
Capitolo VII.
Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue
cause.
A questa disposizione o preparazione segue la stessa
giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche
santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione
volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene giusto,
e da nemico amico, così da essere erede secondo la speranza della vita
eterna (71).
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la
gloria di Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia
di Dio, che gratuitamente lava (72) e santifica, segnando ed ungendo (73) con
lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra
eredità (74); causa meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore
nostro Gesù Cristo, il quale, pur essendo noi suoi nemici (75), per
l’infinito amore con cui ci ha amato (76), ci ha meritato la
giustificazione con la sua santissima passione sul legno della croce e ha
soddisfatto per noi Dio Padre. Causa strumentale è il sacramento del battesimo,
che è il sacramento della fede (77), senza la quale a nessuno, mai, viene
concessa la giustificazione. Finalmente, unica causa formale è la giustizia di
Dio, non certo quella per cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti;
con essa, cioè per suo dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito
(78), e non solo veniamo considerati giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo
di fatto (79), ricevendo in noi ciascuno la propria giustizia, nella misura in
cui lo Spirito santo la distribuisce ai singoli come vuole (80) e secondo la
disposizione e la cooperazione propria di ciascuno.
Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui
al quale vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù
Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera
quando, per mento della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene
diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori (81) di coloro che sono
giustificati e inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con
la remissione dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù
Cristo nel quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la
fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la carità, non unisce
perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo. Per questo motivo è
assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è morta ed inutile (82)
e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la incirconcisione, ma la
fede operante per mezzo della carità (83).
Questa fede, secondo la tradizione apostolica, chiedono i
catecumeni alla chiesa prima del sacramento del battesimo quando chiedono la
fede che dà la vita eterna, che la fede non può garantire senza la speranza e
la carità. È per questo che essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se
vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti (84). Perciò a chi riceve
lo vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di conservare
candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo in luogo di
quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per noi. Essi
dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù Cristo per avere
la vita eterna (85).
Capitolo VIII.
Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per
la fede e gratuitamente.
Quando poi l’apostolo dice che l’uomo viene giustificato per
la fede (86) e gratuitamente (87), queste parole si devono intendere secondo
l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e permanente giudizio
della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati mediante la fede, perché
la fede è il principio dell’umana salvezza, il fondamento e la radice di ogni
giustificazione, senza la quale è impossibile piacere a Dio (88),
giungere alla comunione (89) che con lui hanno i suoi figli. Si dice poi che
noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che precede la giustificazione
- sia la fede che le opere - merita la grazia della giustificazione, se infatti
è per grazia, non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso
apostolo (90)) la grazia non sarebbe più grazia.
Capitolo IX.
Contro la vana fiducia degli eretici.
Quantunque sia necessario credere che i peccati non vengano
rimessi, né siano stati mai rimessi, se non gratuitamente dalla divina
misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi, tuttavia, che a nessuno che
ostenti fiducia e certezza della remissione dei propri peccati e che si
abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono stati rimessi i peccati,
mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe esservi, anzi vi è, in
questo nostro tempo, e viene predicata con grande accanimento contro la chiesa
cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni vera pietà.
Ma neppure si può
affermare che sia necessario che coloro che sono stati realmente giustificati,
debbano credere assolutamente e senza alcuna esitazione, dentro di sé, di
essere giustificati; e che nessuno venga assolto dai peccati e giustificato, se
non chi crede fermamente di essere assolto e giustificato e che l’assoluzione e
la giustificazione sia operata per questa sola fede, quasi che chi non credesse
ciò, dubiti delle promesse di Dio e dell’efficacia della morte e della
resurrezione del Cristo.
Infatti come nessun
uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del Cristo, del
valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel considerare se
stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha motivo di temere
ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere con certezza di fede,
scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
Capitolo X.
L’aumento della grazia ricevuta.
Gli uomini così giustificati e divenuti amici e familiari di
Dio (91), progredendo di virtù in virtù (92), si rinnovano (come dice
l’apostolo (93)) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio
corpo (94) e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione (95), attraverso
l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia
ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone
opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è
giusto, continui a compiere atti di giustizia (96), ed ancora: Non
aspettare fino alla morte a giustificarti (97), e di nuovo: Voi dunque
vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla fede soltanto
(98). Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa quando prega: Dacci,
o Signore, un aumento di fede, di speranza e di carità (99).
Capitolo XI.
Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e
possibilità.
Nessuno, poi, per
quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno
deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di
scomunica (100), esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i
comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda
ti ammonisce di fare quello che puoi (101) e di chiedere quello che non puoi,
ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi (102), il suo
giogo è soave e il peso leggero (103).
Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli
che lo amano (come dice lui stesso (104)) osservano le sue parole, cosa che con
l’aiuto di Dio certamente possono fare. Quantunque infatti in questa vita
mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi cadono almeno in
mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali, non per questo
cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti l’espressione, umile e
verace: Rimetti a noi i nostri debiti (105).
Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto
maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi
già dal peccato e fatti schiavi di Dio (106), vivendo con
moderazione, giustizia e pietà (107), possono progredire per mezzo di Gesù
Cristo, mediante il quale ebbero accesso a questa grazia (108). Dio infatti non
abbandona con la sua grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che
prima non sia abbandonato da essi (109).
Nessuno quindi deve cullarsi nella sola fede, credendo di
essere stato costituito erede e di conseguire l’eredità per la sola fede, anche
senza soffrire con Cristo per poi esser con lui glorificato (110). Cristo
stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò
che sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna
salvezza per tutti quelli che gli obbediscono (111). Per questo lo stesso
apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete
che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io
dunque corro, ma non come chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi
batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù
perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso
squalificato (112).
Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi
sempre più per rendere sicura la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché
facendo questo voi mai peccherete (113).
Deriva da ciò, che sono in contrasto con la dottrina della
vera religione quelli che dicono che il giusto pecca, almeno venialmente, in
ogni opera buona (114); o (cosa ancora più insostenibile) che merita le pene
eterne. E sono pure in contrasto quelli che sostengono che in tutte le opere
buone i giusti peccano, se, eccitando in quelle la loro pigrizia ed esortando
se stessi a correre nello stadio, insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi
guardano anche al premio eterno poiché sta scritto: Ho piegato il mio cuore
ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa (115). E di Mosè l’apostolo
(116) dice che tendeva alla ricompensa.
Capitolo XII.
Bisogna evitare la presunzione temeraria della
predestinazione.
Nessuno, inoltre,
fino che vivrà in questa condizione mortale, deve presumere talmente del
mistero segreto della divina predestinazione, da ritenere per certo di essere
senz’altro nel numero dei predestinati (117), quasi fosse vero che chi è stato
giustificato o non possa davvero più peccare, o se anche peccasse, debba
ripromettersi un sicuro ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli
che Dio si è scelti se non per una speciale rivelazione.
Capitolo XIII.
Del dono della perseveranza.
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza,
di cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo
(118) (dono che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in
piedi colui che già vi è (119), perché perseveri, e da riporvi colui che cade),
nessuno si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti
debbano nutrire e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se
essi non vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così
la perfezionerà (120), suscitando il volere e l’operare (121).
Tuttavia quelli che credono di esser in piedi, guardino di
non cadere (122), e lavorino per la propria salvezza con timore e tremore
(123), nelle fatiche, nelle veglie, nelle elemosine, nelle preghiere e nelle
offerte, nei digiuni e nella castità (124). Proprio perché sanno di essere
rinati alla speranza della gloria (125), e non ancora alla gloria, devono
temere per la battaglia che ancora rimane contro la carne, contro il mondo,
contro il diavolo, nella quale non possono riuscire vincitori, se non si
atterranno con la grazia di Dio, alle parole dell’apostolo: Noi siamo
debitori, ma non verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete
secondo la carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le
azioni del corpo, vivrete (126).
Capitolo XIV.
Di quelli che cadono e della loro riparazione.
Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia
della giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se
procureranno, sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta
attraverso il sacramento della penitenza, per merito del Cristo. Questo modo di
essere giustificato consiste nella riparazione di colui che è caduto; quella
riparazione che i santi padri chiamarono, con espressione adatta, la seconda
tavola dopo il naufragio della grazia perduta (127). Infatti, per quelli che
cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha istituito il sacramento della
penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i
peccati saranno loro rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti (128).
Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano
dopo la caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa
comporta non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un
cuore contrito ed umiliato (129), ma anche la confessione sacramentale dei
medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del sacerdote;
e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le orazioni e
con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la pena eterna,
che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio del
sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra scrittura) non
sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli che, ingrati
verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito santo
(130), ed osarono violare (131) il tempio del Signore.
Di questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove
sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima (132). Ed inoltre: La tristezza
che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che non si rimpiange, perché
conduce a salvezza (133). E di nuovo: Ravvedetevi (134); e: Fate degni frutti
di penitenza (135).
Capitolo XV.
Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la
fede.
Contro le maligne insinuazioni di certi spiriti, i quali con
parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei semplici (136), bisogna
affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si perde la stessa fede, ma
anche con qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si
perde però la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento
della legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma
anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari, ubriaconi,
maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali, da cui con
l’aiuto della grazia potrebbero astenersi (137) e a causa dei quali vengono
separati dalla grazia del Cristo (138).
Capitolo XVI.
Del frutto della giustificazione, ossia del merito delle
buone opere, e del modo ai questo merito.
Ora agli uomini giustificati in questo modo, sia che abbiano
sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo averla perduta, l’abbiano
recuperata si devono proporre le parole dell’apostolo: Abbondate in ogni
opera buona, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è vano (139). Egli
infatti non è ingiusto e non dimentica ciò che avete fatto, né l’amore che
avete dimostrato per il suo nome (140). E: non abbandonate dunque la
vostra fiducia, alla quale è riservata una grande ricompensa (141).
Perciò a quelli che
operano bene fino alla fine (142) e sperano in Dio deve proporsi la vita
eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai figli di Dio per i
meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi fedelmente, per la
promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro meriti. Questa è infatti
quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e la sua corsa, l’apostolo
diceva essere stata messa da parte per lui e che gli sarebbe stata data dal
giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti quelli che amano la sua
venuta (143).
Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo, come il capo nelle
membra e la vite nei tralci (144), trasfonde continuamente la sua virtù in
quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede, accompagna e segue le
loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in alcun modo piacere a Dio
ed esser meritorie, si deve credere che niente altro manchi agli stessi
giustificati, perché si dica che essi, con le opere che hanno compiuto in Dio
(145), hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per quanto possibile in
questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a suo tempo la vita
eterna (se tuttavia moriranno in grazia (146)). Dice, infatti, il Cristo,
nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più sete in
eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua zampillante
per la vita eterna (147).
In tal modo né si
esalta la nostra giustizia come se provenisse proprio da noi (148), né si pone
in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio (149). Infatti quella giustizia che
si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è quella stessa di Dio,
perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.
Né si deve trascurare che, quantunque nelle sacre Scritture
si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a chi ha dato a uno dei
suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette che non resterà senza
ricompensa (150), e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione
momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria
(151), mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel
Signore (152), il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che
diventino loro meriti, quelli che sono suoi doni (153).
E poiché tutti pecchiamo in molte maniere (154),
ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la bontà anche la
severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso, anche se non fosse
consapevole di nessuna colpa (155) poiché tutta la vita degli uomini deve
essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma secondo quello
di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e renderà manifesti i
consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua lode (156); che,
come sta scritto, renderà a ciascuno secondo le sue opere (157).
Dopo questa dottrina
cattolica della giustificazione, - e nessuno potrà essere giustificato se non
l’accetterà fedelmente e fermamente (158) -, è sembrato opportuno al santo
sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia non solo quello che
deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare e fuggire.
CANONI SULLA
GIUSTIFICAZIONE
1. Se qualcuno
afferma che l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere,
compiute con le sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza
la grazia divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
2. Se qualcuno
afferma che la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché
l’uomo possa più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come
se col libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra
cosa, benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
3. Se qualcuno
afferma che l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può
credere, sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga
conferita la grazia della giustificazione: sia anatema.
4. Se qualcuno dice
che il libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in
nessun modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad
ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo
vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del tutto
passivamente: sia anatema.
5. Se qualcuno
afferma che il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed
estinto; o che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e
finalmente inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.
6. Se qualcuno
afferma che non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio
che opera il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in
sé e per sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento
di Giuda non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.
7. Se qualcuno dice
che tutte le opere fatte prima della giustificazione, in qualunque modo siano
compiute, sono veramente peccati che meritano l’odio di Dio, e che quanto più
uno si sforza di disporsi alla grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.
8. Se qualcuno
afferma che il timore dell’inferno, per il quale, dolendoci dei peccati, ci
rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo dal male, è peccato e rende
peggiori i peccatori: sia anatema.
9. Se qualcuno
afferma che l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non
si richieda nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della
giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si
disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.
10. Se qualcuno dice
che gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la
quale egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per
essa: sia anatema.
11. Se qualcuno
afferma che gli uomini sono giustificati o per la sola imputazione della
giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei peccati, senza la grazia e
la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo Spirito santo (159) e
inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo giustificati, è solo
favore di Dio: sia anatema.
12. Se qualcuno
afferma che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina
misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia
sola giustifica: sia anatema.
13. Chi afferma che
per conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con
certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione,
che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.
14. Se qualcuno
afferma che l’uomo è assolto dai peccati e giustificato per il fatto che egli
crede con certezza di essere assolto e giustificato, o che nessuno è realmente
giustificato, se non colui che crede di essere giustificato, e che
l’assoluzione e la giustificazione venga operata per questa sola fede: sia
anatema.
15. Se qualcuno
afferma che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere
certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.
16. Se qualcuno
dice, con infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande
dono della perseveranza finale (l60) (a meno che non sia venuto a conoscere ciò
per una rivelazione speciale): sia anatema.
17. Se qualcuno
afferma che la grazia della giustificazione viene concessa solo ai predestinati
alla vita, e che tutti gli altri sono bensì chiamati, ma non ricevono la
Grazia, in quanto predestinati al male per divino volere: sia anatema.
18. Se qualcuno dice
che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio
sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.
19. Chi afferma che
nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la fede, che le altre cose sono
indifferenti, né comandate, né proibite, ma libere; o che i dieci comandamenti
non hanno nulla a che vedere coi cristiani: sia anatema.
20. Se qualcuno
afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia non è tenuto ad
osservare i comandamenti di Dio e della chiesa, ma solo a credere, come se il
Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna,
non condizionata all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.
21. Se qualcuno
afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui
confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.
22. Se qualcuno
afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza
uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.
23. Se qualcuno
afferma che l’uomo, una volta giustificato, non può più peccare, né perdere la
grazia, e che quindi chi cade e pecca, in realtà non mai è stato giustificato;
o, al contrario, che si può per tutta la vita evitare ogni peccato, anche
veniale, senza uno speciale privilegio di Dio, come la chiesa ritiene della
beata Vergine: sia anatema.
24. Se qualcuno
afferma che la giustizia ricevuta non viene conservata ed anche aumentata
dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste sono solo frutto e segno della
giustificazione conseguita, e non anche causa del suo aumento: sia anatema.
25. Se qualcuno
afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa
ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non
viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia
anatema.
26. Se qualcuno
afferma che i giusti non devono aspettare e sperare da Dio - per la sua
misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo - l’eterna ricompensa in
premio delle buone opere che essi hanno compiuto in Dio (161), qualora, agendo
bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano perseverato fino alla fine:
sia anatema.
27. Se qualcuno
afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o
che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro
peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia
anatema.
28. Se qualcuno
afferma che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la
fede, o che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva (162), o
che colui che ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.
29. Se qualcuno
afferma che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la
grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede,
senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e universale,
istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora creduto, osservato e
insegnato: sia anatema.
30. Se qualcuno
afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione, a qualsiasi
peccatore pentito viene rimessa la colpa e cancellato il debito della pena
eterna in modo tale che non gli rimanga alcun debito di pena temporale da
scontare sia in questo mondo sia nel futuro in purgatorio, prima che possa
essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli: sia anatema.
31. Se qualcuno
afferma che colui che è giustificato pecca, quando opera bene in vista della
eterna ricompensa: sia anatema.
32. Se qualcuno
afferma che le opere buone dell’uomo giustificato sono doni di Dio, così da non
essere anche meriti di colui che è giustificato, o che questi con le buone
opere da lui compiute per la grazia di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro
vivo), non merita realmente un aumento di grazia, la vita eterna e il
conseguimento della stessa vita eterna (posto che muoia in grazia) ed anche
l’aumento della gloria: sia anatema.
33. Se qualcuno
afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal
santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o
i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità
della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.
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