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martedì 22 luglio 2014

Paolo Sarpi : i "Padri Conciliari" discutono sui preti sposati e sulla dispensa al celibato (Istoria Concilio Tridentino)

Esamine e condanna del quinto e sesto articolo del celibato, che rimette su le
dispense


Il giorno 4 di marzo si diede principio di parlar sopra la terza classe, e quanto al
quinto articolo tutti furono conformi che fosse eretico e dannabile; del sesto parimente
non vi fu differenza: tutti convennero che fosse eresia. Vi fu disparere, perché una parte
diceva che, quantonque tra la Chiesa orientale et occidentale vi fosse differenza, perché
questa non ammetteva al sacerdozio, né agl'ordini sacri, se non persone continenti, e
quella anco ammetteva li maritati, nondimeno nissuna Chiesa mai concesse che i
sacerdoti si potessero maritare, e che questo s'ha per tradizione apostolica e non per
raggion del voto, né per alcuna constituzione ecclesiastica, e però che conveniva dannar
per eretici assolutamente tutti quelli che dicevano esser lecito a' sacerdoti maritarsi,
senza restringersi agl'occidentali e senza far menzione né di voto, né di legge nella
Chiesa, e questi non concedevano che si potesse per causa alcuna dispensare li sacerdoti
al matrimonio; altri dicendo che il matrimonio era vietato a due sorti di persone e per
due diverse cause: a' chierici secolari per l'ordine sacro, per legge ecclesiastica; et a'
regolari per il voto solenne; che la proibizione del matrimonio per constituzion della
Chiesa può esser dal pontefice levata, e restando ancora quella in piedi, il pontefice può
dispensarlo. Allegavano gl'essempii de' dispensati e l'uso dell'antichità che, se un
sacerdote si maritava, non separavano il matrimonio, ma solo lo rimovevano dal
ministerio; il che fu continuamente osservato sino al tempo d'Innocenzo II, quale, primo
di tutti li pontefici, ordinò che quel matrimonio s'avesse per nullo. Ma per quel che
tocca gl'obligati alla continenza per voto solenne, essendo questo de iure divino,
dicevano non poter il pontefice dispensarvi. Allegavano in ciò il luogo d'Innocenzo III,
il quale affermò che l'osservazione della castità e l'abdicazione della proprietà sono cosí
aderenti agl'ossi de' monachi, che manco il sommo pontefice può dispensarci;
soggiongendo appresso l'opinione di san Tomaso e d'altri dottori, li quali asseriscono
che il voto solenne è una consecrazione dell'uomo a Dio, e non potendo alcun fare che
la cosa consecrata possi ritornar agl'usi umani, non può parimente fare che il monaco
possi ritornar all'uso del matrimonio, e che tutti li scrittori catolici condannano d'eresia
Lutero e li seguaci, per aver detto che il monacato è invenzione umana, et asseriscono
che sia di tradizione apostolica, a che diametralmente ripugna il dire che il pontefice
possi dispensare.
Altri defendevano che anco con questi poteva il pontefice dispensare, e si
maravegliavano di quelli che, concedendo la dispensa de' voti semplici, negavano quella
de' solenni, quasi che non fosse chiarissimo per la determinazione di Bonifacio VIII che
ogni solennità è de iure positivo, valendosi a punto del medesimo essempio delle cose
consecrate per provar la loro sentenza; perché, sí come non si può far che una cosa
consecrata, rimanendo consecrata, sia adoperata ad usi umani, ma ben si può levar la
consecrazione e farla profana, onde lecitamente torni ad ogni uso promiscuo, cosí
l'uomo consecrato a Dio per il monacato, restando consecrato, non può applicarsi al
matrimonio, ma levatogli il monacato e la consecrazione che nasce dalla solennità del
voto, la qual è de iure positivo, niente osta che non possi usar la vita commune
degl'uomini. Adducevano luoghi di sant'Agostino, da' quali manifestamente appare che
nel suo tempo qualche monaco si maritava. E se ben era stimato che facendolo peccasse,
nondimeno il matrimonio era legitimo, e sant'Agostino riprende quelli che lo
separavano.
Si trascorse a parlar se fosse ben in questi tempi dispensare overo levar il
precetto della continenza a' sacerdoti; e questo perché il duca di Baviera, avendo
mandato a Roma per ricercar dal pontefice la communione del calice, aveva insieme
ricchiesto che fosse concesso a' maritati di poter predicare; sotto il qual nome
s'intendeva tutto il ministerio ecclesiastico, essercitato da' parochi nella cura d'anime.
Furono dette molte raggioni a persuader che fosse concesso, li quali si risolvevano in
due: nel scandalo che davano li sacerdoti incontenenti e nella penuria di persone
continenti, atte ad essercitar il ministerio; et era in bocca di molti quel celebre detto di
papa Pio II, che il matrimonio per buona raggione fu levato dalla Chiesa occidentale a'
preti, ma per raggione piú potente conveniva renderglielo. Da quelli di contrario parere
si diceva che non è da savio medico guarir un male con causarne un peggiore. Se li
sacerdoti sono incontenenti et ignoranti, non per questo s'ha da prostituir il sacerdozio ne' maritati:
 e qui erano allegati tanti luoghi de' pontefici, li quali però non lo permisero,
che dicevano esser impossibile attender alla carne et allo spirito, essendo il matrimonio
un stato carnale. Che il vero rimedio era con l'educazione, con la diligenza, co' premii e
con le pene proveder continenti e litterati per questo ministerio; ma tra tanto, per
rimedio d'incontinenza, non ordinare se non persone provate di buona vita e, per la
dottrina, far stampar omiliarii e catechismi in lingua germanica e francese, formati da
uomini dotti e religiosi, li quali s'avessero da legger al popolo cosí de scritto e col libro
in mano da' sacerdoti imperiti; col qual modo li parochi, se ben insufficienti, potrebbero
satisfar al popolo.
Furono biasmati li legati d'aver lasciato disputar questo articolo come pericoloso,
essendo cosa chiara che coll'introdozzione del matrimonio de' preti si farebbe che tutti
voltassero l'affetto et amor loro alle mogli, a' figli e, per consequenza, alla casa et alla
patria, onde cesserebbe la dependenza stretta che l'ordine clericale ha con la Sede
apostolica, e tanto sarebbe conceder il matrimonio a' preti, quanto distrugger la ierarchia
ecclesiastica e ridur il pontefice che non fosse piú che vescovo di Roma. Ma li legati si
scusavano che, per compiacer il vescovo di Cinquechiese, il qual aveva ricchiesto
questo non solo per nome del duca, ma dell'imperatore ancora, e per render li cesarei piú
facili a non far grand'insistenza sopra la riforma che piú importava, erano stati constretti
compiacerlo.
I francesi, veduto che l'opinione piú commune era che un prete potesse esser
dispensato al matrimonio, si congregarono insieme per consultare se era opportuno
dimandar la dispensa per il cardinale di Borbone, come Lorena e gl'ambasciatori
avevano in commissione; e Lorena fu di parer di no, con dire che senza dubio nel
concilio vi sarebbe difficoltà nel persuader che la causa fosse raggionevole et urgente,
poiché per aver posterità non era necessario, essendo il re giovane, con doi fratelli et
altri prencipi del sangue catolici, e per aver governo mentre il re pervenisse alla
maggiorità, lo poteva far restando nel clero. Che per le differenze che sono tra francesi
et italiani, cosí per causa della riforma, come per l'autorità del papa e de' vescovi, quelli
che tenevano opinioni contrarie alle loro studiosamente si sarebbono opposti anco a
questa dimanda; che meglio era voltarsi al papa, overo aspettar meglior occasione et
esser assai per quel tempo l'operare che non sia stabilita dottrina che possi pregiudicare.
Fu stimato da alcuni che Lorena nel suo interno non avesse caro che Borbon si
maritasse, perché potesse ciò succeder con emulazione e diminuzione di casa sua; ma ad
altri non pareva verisimile: prima, perché per questa via si levava ogni speranza a
Condé, del quale egli molto piú si diffidava; anzi, che il passar Borbon allo stato
secolare fosse sommamente desiderato da esso Lorena, il qual, levato il Borbone dal
clero, sarebbe restato il primo prelato di Francia, et in occasione di patriarca, che egli
molto ambiva, sarebbe a lui indubitatamente toccato, dove che essendo Borbon prete,
non era possibile pensar di farlo posporre.

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