SESSIONE XXV (3-4 dicembre 1563)
Decreto sul purgatorio.
Poiché la chiesa
cattolica, istruita dallo Spirito santo, conforme alle sacre scritture e
all’antica tradizione, ha insegnato nei sacri concili, e recentissimamente in
questo concilio ecumenico (403), che il purgatorio esiste e che le anime lì
tenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli e in modo
particolarissimo col santo sacrificio dell’altare, il santo sinodo comanda ai
vescovi che con diligenza facciano in modo che la sana dottrina sul purgatorio,
quale è stata trasmessa dai santi padri e dai sacri concili (404), sia creduta,
ritenuta, insegnata e predicata dappertutto.
Nelle prediche
rivolte al popolo meno istruito, si evitino le questioni più difficili e più
sottili, che non servono all’edificazione, e da cui, per lo più, non c’è alcun
frutto per la pietà. Così pure non permettano che si diffondano e si trattino
dottrine incerte o che possano presentare apparenze di falsità. Proibiscano,
inoltre, come scandali e inciampi per i fedeli, quelle questioni che servono
(solo) ad una certa curiosità e superstizione e sanno di speculazione.
I vescovi, inoltre,
abbiano cura che i suffragi dei fedeli viventi e cioè i sacrifici delle messe,
le preghiere, le elemosine ed altre opere pie, che si sogliono fare dai fedeli
per altri fedeli defunti, siano fatti con pietà e devozione secondo l’uso della
chiesa e che quei suffragi che secondo le fondazioni dei testatori o per altro
motivo devono essere fatti per essi, vengano soddisfatti dai sacerdoti, dai
ministri della chiesa e dagli altri che ne avessero l’obbligo, non
sommariamente e distrattamente, ma diligentemente e con accuratezza.
Della invocazione, della venerazione e delle reliquie dei
santi e delle sacre immagini.
Il santo sinodo
comanda a tutti i vescovi e a quelli che hanno l’ufficio e l’incarico di
insegnare, che - conforme all’uso della chiesa cattolica e apostolica,
tramandato fin dai primi tempi della religione cristiana, al consenso dei santi
padri e ai decreti dei sacri concilii, - prima di tutto istruiscano
diligentemente i fedeli sull’intercessione dei santi, sulla loro invocazione,
sull’onore dovuto alle reliquie, e sull’uso legittimo delle immagini,
insegnando che i santi, regnando con Cristo, offrono a Dio le loro orazioni per
gli uomini; che è cosa buona ed utile invocarli supplichevolmente e ricorrere
alle loro orazioni, alla loro potenza e al loro aiuto, per impetrare da Dio i
benefici, per mezzo del suo figlio Gesù Cristo, nostro signore, che è l’unico
redentore e salvatore nostro; e che quelli, i quali affermano che i santi - che
godono in cielo l’eterna felicità - non devono invocarsi o che essi non pregano
per gli uomini o che l’invocarli, perché preghino anche per ciascuno di noi,
debba dirsi idolatria, o che ciò è in disaccordo con la parola di Dio e si
oppone all’onore del solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo (405); o
che è sciocco rivolgere le nostre suppliche con la voce o con la mente a quelli
che regnano nel cielo, pensano empiamente.
Insegnino ancora
diligentemente che i santi corpi dei martiri e degli altri che vivono con
Cristo - un tempo membra vive di Cristo stesso e tempio dello Spirito santo
(406) -, e che da lui saranno risuscitati per la vita eterna e glorificati,
devono essere venerati dai fedeli, quei corpi, cioè, per mezzo dei quali
vengono concessi da Dio agli uomini molti benefici. Perciò quelli che affermano
che alle reliquie dei santi non si debba alcuna venerazione ed alcun onore; che
esse ed altri resti sacri inutilmente vengono onorati dai fedeli; o che invano
si frequentano i luoghi della loro memoria per ottenere il loro aiuto, sono assolutamente
da condannarsi, come già da tempo la chiesa li ha condannati e li condanna
ancora.
Inoltre le immagini
di Cristo, della Vergine madre di Dio e degli altri santi devono essere tenute
e conservate nelle chiese; ad esse si deve attribuire il dovuto onore e la
venerazione: non certo perché si crede che vi sia in esse una qualche divinità
o virtù, per cui debbano essere venerate; o perché si debba chiedere ad esse
qualche cosa, o riporre fiducia nelle immagini, come un tempo facevano i
pagani, che riponevano la loro speranza negli idoli (407), ma perché l’onore
loro attribuito si riferisce ai prototipi, che esse rappresentano. Attraverso
le immagini, dunque, che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci
prostriamo, noi adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano la
somiglianza. Cosa già sancita dai decreti dei concili - specie da quelli del
secondo concilio di Nicea - contro gli avversari delle sacre immagini (408).
Questo, poi,
cerchino di insegnare diligentemente i vescovi: che attraverso la storia dei
misteri della nostra redenzione, espressa con le pitture e con altre immagini,
il popolo viene istruito e confermato nel ricordare gli articoli di fede e
nella loro assidua meditazione. Ed inoltre, che da tutte le sacre immagini si trae
grande frutto, non solo perché vengono ricordati al popolo i benefici e i doni
che gli sono stati fatti da Cristo, ma anche perché nei santi sono posti sotto
gli occhi dei fedeli le meraviglie e gli esempi salutari di Dio, così che ne
ringrazino Dio, cerchino di regolare la loro vita e i loro costumi secondo
l’imitazione dei santi, siano spinti ad adorare ed amare Dio e ad esercitare la
pietà. Se qualcuno insegnerà o crederà il contrario di questi decreti, sia
anatema.
Se poi, contro
queste sante e salutari pratiche, fossero invalsi degli abusi, il santo sinodo
desidera ardentemente che essi siano senz’altro tolti di mezzo. Pertanto non
sia esposta nessuna immagine che esprima false dottrine e sia per i semplici
occasione di pericolosi errori.
Se avverrà che
qualche volta debbano rappresentarsi e raffigurarsi le storie e i racconti
della sacra scrittura - questo infatti giova al popolo, poco istruito - si
insegni ad esso che non per questo viene raffigurata la divinità, quasi che
essa possa esser vista con questi occhi corporei o possa esprimersi con colori
ed immagini.
Nella invocazione
dei santi, inoltre, nella venerazione delle reliquie e nell’uso sacro delle
immagini sia bandita ogni superstizione, sia eliminata ogni turpe ricerca di
denaro e sia evitata ogni licenza, in modo da non dipingere o adornare le
immagini con procace bellezza. Così pure, i fedeli non approfittino delle
celebrazioni dei santi e della visita alle reliquie per darsi all’abuso del
mangiare e del bere, quasi che le feste dei santi debbano celebrarsi col lusso
e la libertà morale. Da ultimo, in queste cose sia usata dai vescovi tanta
diligenza e tanta cura, che niente appaia disordinato, niente fuori posto e
rumoroso, niente profano, niente meno onesto: alla casa di Dio, infatti, si addice
la santità (409).
E perché queste
disposizioni vengano osservate più fedelmente, questo santo sinodo stabilisce
che non è lecito a nessuno porre o far porre un’immagine inconsueta in un luogo
o in una chiesa, per quanto esente, se non è stata prima approvata dal vescovo;
né ammettere nuovi miracoli, o accogliere nuove reliquie, se non dopo il
giudizio e l’approvazione dello stesso vescovo. Questi, poi, non appena sia
venuto a sapere qualche cosa su qualcuno di questi fatti, consultati i teologi
ed altre pie persone, faccia quello che crederà conforme alla verità e alla
pietà. Se infine si presentasse qualche abuso dubbio o difficile da estirpare o
se sorgesse addirittura qualche questione di una certa gravità intorno a questi
problemi, il vescovo, prima di decidere aspetti l’opinione del metropolita e
dei vescovi della regione nel concilio provinciale. Comunque, le cose siano
fatte in modo tale, da non stabilire nulla di nuovo o di inconsueto nella
chiesa, senza aver prima consultato il santissimo pontefice romano.
Decreto sui religiosi e sulle monache.
Lo stesso santo
sinodo, proseguendo la riforma, ha creduto bene stabilire quanto segue.
Capitolo I
Il santo concilio
non ignora quanto splendore e quanta utilità possa provenire alla chiesa di Dio
dai monasteri piamente istituiti e rettamente governati. Perché, quindi, più
facilmente e più prontamente venga ripristinata l’antica, regolare disciplina -
dove è decaduta - e possa durare a lungo - dove si è mantenuta -, esso ha
creduto opportuno comandare (come fa col presente decreto) che tutti i
religiosi, sia uomini che donne, conformino e adattino la loro vita alle
prescrizioni della regola che essi hanno professato.
In modo particolare
osservino fedelmente quello che riguarda la perfezione della loro professione -
come i voti e i precetti di obbedienza, povertà e castità, ed altri particolari
precetti di qualche regola od ordine -, e, rispettivamente, quanto riguarda la
conservazione della vita comune, del vitto, del vestito. I superiori pongano
ogni cura e diligenza, sia nei capitoli generali e provinciali, che nelle loro
visite, - che non trascureranno di fare a suo tempo - perché non si venga meno
su questi punti, essendo chiaro che essi non possono usare larghezza in ciò che
appartiene alla sostanza della vita religiosa. Se, infatti, non si osserveranno
con esattezza quei punti che formano la base e il fondamento di tutta la vita
religiosa, necessariamente dovrà cadere tutto l’edificio.
Capitolo II
A nessun religioso,
quindi, sia uomo che donna, sia permesso possedere o tenere in nome proprio, o
anche a nome del convento, beni immobili o mobili, di qualsiasi specie, anche
se fossero stati acquistati da loro in qualsiasi modo; ma vengano subito
consegnati al superiore ed incorporati al convento. Né sia lecito, in seguito,
ai superiori concedere beni stabili ad alcun religioso, anche solo in usufrutto
o in uso, in amministrazione o in commenda.
Quanto
all’amministrazione dei beni dei monasteri o dei conventi, essa sia affidata
solo agli officiali degli stessi monasteri, amovibili a volontà dei superiori.
L’uso dei beni mobili sia regolato dai superiori in modo tale, che nell’insieme
sia conforme allo stato di povertà che hanno professato; non vi sia niente di
superfluo né niente di necessario venga negato. Se qualcuno, diversamente da
quanto è stato prescritto, sarà trovato in possesso di qualche cosa sia privato
per due anni della voce attiva e passiva, e venga anche punito secondo le
costituzioni della sua regola e del suo ordine.
Capitolo III
Il santo concilio
concede a tutti i monasteri, sia maschili che femminili, anche dei mendicanti
(eccettuate le case dei frati Cappuccini di S. Francesco, e di quelli che si
chiamano ‘minori dell’osservanza’), anche a quelli ai quali era proibito dalle
loro costituzioni o non era stato concesso da un privilegio apostolico, che in
seguito sia lecito ad essi possedere beni immobili. Se qualcuno dei luoghi
predetti, a cui per autorità apostolica era stato concesso di possedere simili
beni, ne fossero stati spogliati, il sinodo stabilisce che debbano essere loro
restituiti. In questi monasteri e case, sia di uomini che di donne, possiedano
o non possiedano beni immobili, vi sia solo quel numero (di religiosi), - ed in
avvenire sia mantenuto - che possa essere facilmente sostentato con i redditi
propri dei monasteri o con le consuete elemosine. In seguito luoghi simili non
siano eretti senza preventiva licenza del vescovo nella cui diocesi devono
essere costruiti.
Capitolo IV
Il santo sinodo
proibisce che un religioso, senza licenza del suo superiore, col pretesto della
predicazione, della lettura, o di qualsiasi opera pia, si metta a servizio di
un prelato, di un principe, o di una università o comune, o di qualsiasi altra
persona o luogo. Né in ciò saranno a suo favore privilegi e facoltà, che possa
aver ottenuto da altri in questa materia. Se agisse diversamente sia punito,
come disobbediente, a giudizio del superiore.
Non sia neanche
permesso ai religiosi di allontanarsi dai loro conventi, neppure con la scusa
di recarsi dai loro superiori, se non fossero stati da essi mandati o fatti
chiamare. E chi non fosse trovato in possesso di tale mandato, ottenuto per
iscritto, sia punito dagli ordinari locali come disertore del suo istituto.
Quelli, inoltre, che
vengono mandati presso le università per ragione di studio, abitino solo nei
conventi. Diversamente si proceda dagli ordinari contro di essi.
Capitolo V
Il santo sinodo, rinnovando la costituzione di Bonifacio
VIII Periculoso (410), sotto minaccia del divino giudizio e dell’eterna
maledizione, comanda a tutti i vescovi di fare assolutamente in modo che in
tutti i monasteri la clausura delle monache, se fosse stata violata, sia
diligentemente ripristinata; se invece fosse ancora intatta, venga conservata.
Ciò potranno fare con potestà ordinaria, nei monasteri loro soggetti, negli
altri per autorità della sede apostolica. Reprimano quelli che non obbediscono
e contraddicono, con le censure ecclesiastiche e con altre pene, non tenendo in
alcuna considerazione qualsiasi appello o ricorrendo anche, se necessario, per
questo scopo, all’aiuto del braccio secolare: aiuto che il santo sinodo esorta
i principi cristiani a prestare, e di cui fa obbligo, sotto pena di scomunica
da incorrersi ipso facto, a tutte le autorità secolari.
Quanto alle monache,
a nessuna sia lecito, dopo la professione, uscire dal monastero, anche per
breve tempo, con qualsiasi pretesto, se non per un legittimo motivo che il
vescovo dovrà approvare, non ostante qualsiasi indulto e privilegio.
Così pure non sia permesso a nessuno, di qualsiasi genere o
condizione egli fosse, di qualsiasi sesso ed età, entrare nel recinto del
monastero se non ha la licenza del vescovo o del superiore, ottenuta per
iscritto, sotto pena di scomunica da incorrersi ipso facto. Il vescovo e
il superiore da parte loro dovranno dare questa licenza solo nei casi necessari
e non potrà darla nessun altro, anche in forza di qualsiasi facoltà o indulto,
già concesso o che venisse concesso in seguito.
Poiché quei
monasteri di monache, che si trovano fuori delle mura della città o del
villaggio, sono esposti alla preda e ad altri pericoli da parte dei malfattori
e spesso senza alcuna difesa, se i vescovi e gli altri superiori lo crederanno,
facciano in modo che le monache siano trasferite da essi a quelli nuovi - o a
quelli vecchi - che si trovano entro le città o villaggi più abitati;
richiedendo anche, se fosse necessario, l’aiuto del braccio secolare. Quelli
che lo impedissero o che non obbedissero, siano costretti con le censure
ecclesiastiche.
Capitolo VI
Nella elezione di
qualsiasi superiore, abate, officiale temporaneo e di altri, così pure dei
generali, delle abbadesse e delle altre superiore, perché tutto sia fatto
regolarmente e senza alcun inganno, il santo sinodo comanda severamente, prima
di tutto, che tutte le autorità nominate debbano essere elette con voto
segreto, in modo che i nomi dei singoli elettori non vengano mai resi noti. E
non sia neppure lecito, in futuro, delegare provinciali o abati, priori o altri
titolari qualsiasi a fare l’elezione, o a supplire le volontà e i voti degli
assenti.
Se poi qualcuno
fosse eletto contro la costituzione di questo decreto, l’elezione sia nulla e
chi ha consentito ad essere eletto provinciale, abate o priore in seguito sia
considerato inabile a qualsiasi carica, nel suo ordine; e le facoltà concesse
in questo campo dovranno essere considerate senz’altro abrogate, e qualora in
seguito ne fossero concesse altre, si ritengano come ottenute con frode.
Capitolo VII
Sia eletta
un’abbadessa e una priora, (o con qualsiasi altro nome venga chiamata la
superiora) di almeno quarant’anni e che abbia vissuto lodevolmente per otto
anni dopo la professione religiosa. Se non vi fosse nessuna persona, nel
monastero, con questi requisiti, si potrà scegliere da un altro monastero dello
stesso ordine. Se anche questo sembrasse difficile al superiore che presiede
all’elezione, ne venga scelta una dello stesso monastero, tra quelle che
abbiano superato i trent’anni ed abbiano vissuto rettamente almeno per cinque
anni dopo la professione; ciò, con l’approvazione del vescovo o di altro
superiore.
Nessuna sia messa a
capo di due monasteri; e se qualcuna ne avesse, in qualsiasi modo, due o più,
sia costretta a lasciarli entro sei mesi, ritenendosene uno. Dopo tale periodo,
se non avesse ancora rinunziato ad essi, per disposizione stessa del diritto
siano considerati tutti vacanti.
Chi regola
l’elezione, sia il vescovo o altro superiore, non entri nel monastero
propriamente detto; ma ascolti o riceva i voti delle singole monache davanti
alla grata. Quanto al resto, siano osservate le costituzioni dei singoli ordini
o monasteri.
Capitolo VIII
Tutti quei monasteri che non dipendono dai capitoli generali
o dai vescovi, e che non hanno i loro visitatori ordinari regolari, ma che sono
governati sotto l’immediata protezione e direzione della sede apostolica, entro
un anno dalla fine del presente concilio, - e poi ogni triennio, - siano
obbligati a riunirsi in congregazioni, secondo le prescrizioni della
costituzione di Innocenzo III nel concilio generale, che inizia: In singulis
(411), ed ivi eleggere delle persone religiose, che trattino e prendano
decisioni sul modo di erezione e sull’ordine di queste congregazioni e sulle
regole da osservarsi in esse. Qualora fossero in ciò negligenti, il
metropolita, nella cui provincia si trovano questi monasteri potrà convocarli,
come delegato della sede apostolica, per queste questioni.
Se nei confini di
una sola provincia il numero di tali monasteri non fosse sufficiente a
costituire una congregazione, potranno formarne una i monasteri di due o tre
province. Costituite queste congregazioni, i loro capitoli generali, i
superiori e i visitatori da essi eletti, avranno sui monasteri della loro
congregazione e sui religiosi che ne fanno parte la stessa autorità che gli
altri superiori e visitatori hanno negli altri ordini. Siano tenuti, inoltre, a
visitare con frequenza i monasteri della loro congregazione ed attendere alla
loro riforma, e ad osservare le prescrizioni dei sacri canoni e di questo sacro
concilio. Se poi, non ostante le pressioni del metropolita, essi non si dessero
pensiero di eseguire le precedenti disposizioni, siano soggetti nelle diocesi
in cui si trovano ai vescovi, come delegati della sede apostolica.
Capitolo IX
I monasteri delle
monache immediatamente soggetti alla sede apostolica, anche sotto il nome di
"capitoli di S. Pietro" o "di S. Giovanni" - o comunque si
chiamino - siano governati dai vescovi, come delegati della stessa santa sede,
non ostante qualsiasi cosa in contrario. Quelli, invece, che sono retti da
persone scelte nei capitoli generali o da altri religiosi, rimangano in loro
custodia e sotto la loro cura.
Capitolo X
Facciano bene
attenzione i vescovi e gli altri superiori di monasteri di monache, che nelle
loro costituzioni le monache siano esortate a confessare i loro peccati e a
ricevere la sacrosanta eucarestia almeno una volta al mese, perché, premunite
di questo salutare presidio, superino con energia tutti gli assalti del
demonio.
Oltre al confessore
ordinario, due o tre volte all’anno sia dato dal vescovo o dagli altri
superiori un altro confessore straordinario, che deve ascoltare le confessioni
di tutte.
Il concilio
proibisce che il santissimo corpo di Cristo venga conservato nel loro coro o
entro il monastero, e non, invece, nella chiesa pubblica, non ostante qualsiasi
indulto o privilegio.
Capitolo XI
In quei monasteri ed
in quelle case, maschili o femminili, cui è annessa la cura delle anime di
persone secolari - oltre a quelle che appartengono alla famiglia di tali
monasteri o enti - le persone, tanto religiose che secolari, che esercitano
tale cura, in ciò che riguarda la predetta cura e l’amministrazione dei
sacramenti, siano direttamente soggette alla giurisdizione, alla visita e alla
correzione del vescovo, nella cui diocesi si trovano; nessuno sia addetto a
questa cura, anche se amovibile a volontà, senza il suo consenso e senza aver
prima subito l’esame del vescovo stesso o di un suo vicario.
Eccettuiamo il
monastero di Cluny con i suoi territori ed anche quei monasteri o luoghi, in
cui gli abati generali o altri superiori religiosi esercitano la giurisdizione
vescovile e temporale sui parroci e sui parrocchiani, salvo tuttavia il diritto
dei vescovi, che hanno su questi luoghi e persone una giurisdizione maggiore.
Capitolo XII
Non solo le censure
e gli interdetti emanati dalla sede apostolica, ma anche quelli promulgati
dagli ordinari, siano pubblicati dai religiosi a richiesta del vescovo, nelle
loro chiese ed osservati. Così pure i giorni festivi, che lo stesso vescovo
avesse comandato di osservare nella sua diocesi, siano osservati da tutti gli
esenti, anche regolari.
Capitolo XIII
Quanto alle
controversie sulla precedenza, che con grandissimo scandalo sorgono spessissimo
tra gli ecclesiastici, sia secolari che regolari, in occasione di pubbliche
processioni, nei funerali, nel portare il baldacchino e simili, il vescovo,
senza alcuna possibilità di appello e senza badare ad altro, cerchi di comporle
tutte. Tutti gli esenti, poi, tanto chierici secolari che regolari, anche
monaci, chiamati alle pubbliche processioni, siano costretti ad andarvi,
eccetto solo quelli che vivono sempre nella più stretta clausura.
Capitolo XIV
Ogni religioso non
soggetto al vescovo, che vive dentro le mura del monastero, ma che fuori ha
mancato talmente da essere di scandalo al popolo, ad istanza del vescovo ed
entro un termine da lui stabilito, venga punito gravemente dal suo superiore,
il quale comunichi al vescovo stesso l’avvenuta punizione. Se non lo punisse,
sia privato del suo ufficio dal suo superiore e colui che ha mancato sarà
punito dal vescovo.
Capitolo XV
In qualsiasi
congregazione religiosa, sia maschile che femminile, la professione non sia
emessa prima che si sia compiuto il sedicesimo anno di età. Chi non avesse
fatto almeno un anno di probazione dal ricevimento dell’abito, non sia ammesso
ad essa. La professione fatta prima sia nulla. Essa, quindi, non importerà
alcun obbligo di osservare la regola di nessuna congregazione e di nessun
ordine e di sottostare a qualsiasi altro effetto.
Capitolo XVI
Nessuna rinunzia
fatta, nessuna obbligazione assunta, nei due mesi che precedono la professione
anche con giuramento o in favore di qualsiasi causa pia, abbia valore, se non
con licenza del vescovo o del suo vicario, e si sott’intenda sempre che non
sortirà il suo effetto, se non quando sarà avvenuta la professione. Le rinunzie
fatte diversamente, anche se con espressa rinunzia a questo favore e con
giuramento, siano irrite e di nessun effetto. Finito il noviziato, i superiori ammettano
alla professione i novizi che avranno trovato adatti, altrimenti li dimettano
dal monastero.
Con questo
provvedimento, tuttavia, il santo sinodo non intende innovare nulla per quanto
riguarda l’ordine dei chierici della società di Gesù né proibire che esso possa
servire il Signore e la sua chiesa secondo il suo pio metodo di vita, approvato
dalla sede apostolica.
Eccetto il vitto e
il vestito del novizio o della novizia per il periodo della prova, prima della
professione non sia dato nulla dei loro beni al monastero, dai genitori o dai
parenti, o dai loro procuratori, con qualsiasi pretesto, perché non avvenga che
con questa scusa: che, cioè, il monastero possiede tutti o la maggior parte dei
loro beni, non possano andarsene, e che difficilmente, se se ne andassero,
potrebbero ricuperarli. Anzi, il santo concilio fa espresso obbligo a quelli
che danno e a quelli che ricevono, sotto minaccia di scomunica, di non agire
assolutamente in tal modo; e che sia restituito a chi se ne va prima della
professione ciò che era suo.
Il vescovo obblighi
ad osservare questa prescrizione anche con le censure ecclesiastiche, se sarà
necessario.
Capitolo XVII
Il santo concilio,
preoccupandosi della libertà della professione delle fanciulle che si dedicano
a Dio, stabilisce e prescrive che se una fanciulla, che vuole indossare l’abito
religioso, ha più di dodici anni, non possa riceverlo - né essa od altra possa
poi emettere la professione - prima che il vescovo o il suo vicario (qualora
egli fosse assente o impedito), o qualche altro incaricato da essi a loro
spese, si sia reso conto con diligenza della volontà della fanciulla: se, cioè,
essa fosse costretta, o ingannata, e se sappia quello che fa.
Se, quindi, si
troverà che la sua volontà è pia e libera, e che ha i requisiti necessari
secondo la regola di quel monastero e di quell’ordine e che il monastero è
adatto, le sia permesso fare la professione. Perché il vescovo non ignori il
tempo di tale professione, la superiora del monastero è tenuta ad informarlo un
mese prima. Se essa mancasse di fare ciò, sia sospesa dal suo ufficio per tutto
il tempo che sembrerà opportuno al vescovo.
Capitolo XVIII
Questo santo sinodo
pronuncia l’anatema contro tutte e singole le persone di qualsiasi qualità o
condizione, sia chierici che laici, secolari o regolari, qualsiasi dignità essi
abbiano - che in qualsiasi maniera costringessero una fanciulla, una vedova, o
altra donna qualsiasi, ad entrare in monastero o a indossare l’abito di
qualsiasi ordine o ad emettere la professione religiosa contro la sua volontà
fuorché nei casi permessi dal diritto; e così pure quelli che dessero il loro
consiglio, prestassero il loro aiuto e il loro favore; e quelli che, pur
sapendo che essa non entra in monastero, non riceve l’abito, non fa la professione
di sua volontà, siano stati presenti a quest’atto, abbiano dato il loro
consenso o abbiano interposto la loro autorità, in qualsiasi maniera.
A simile anatema
sottopone quelli che senza giusto motivo impedissero in qualsiasi modo il santo
proposito delle vergini o di altre donne di prendere l’abito o di emettere il
voto.
Nei monasteri
soggetti al vescovo, ma anche in qualsiasi altro monastero, si osservino tutte
e singole quelle norme che bisogna osservare prima e durante la stessa
professione.
Si eccettuano,
tuttavia, tra queste, quelle donne che sono dette penitenti o convertite, per
le quali si osservino le costituzioni loro proprie.
Capitolo XIX
Ogni religioso, il
quale affermi di essere entrato in religione per forza e per timore o anche di
aver fatto la professione prima dell’età prescritta, o qualche cosa di simile e
voglia lasciare l’abito in qualsiasi modo; o che se ne voglia andare anche con
l’abito, senza il permesso dei superiori, non sia preso in considerazione, se
non entro il primo quinquennio dal giorno della sua professione ed esponga
dinanzi al suo superiore e all’ordinario i propri motivi.
Se poi egli
lasciasse spontaneamente l’abito prima, non gli sia permesso far valere alcun
motivo, ma sia costretto a tornare in monastero, e sia punito come apostata; e
nel frattempo non godrà di nessun privilegio del proprio ordine.
Nessun religioso,
inoltre, qualsiasi facoltà possa avere, sia trasferito ad altro ordine
religioso meno severo. E non si conceda ad alcun religioso di portare
occultamente l’abito del suo ordine.
Capitolo XX
Gli abati, capi di ordini, e gli altri superiori di essi,
non soggetti a vescovi, che hanno legittima giurisdizione su altri monasteri
inferiori o su priorati, visitino ex officio, ciascuno nel suo
territorio e a suo tempo e luogo, quegli stessi monasteri e priorati, anche se
fossero stati dati in commenda. E poiché questi sono sottoposti ai capi dei
loro ordini, il santo sinodo dichiara che essi non sono compresi in quelle
norme che altra volta sono state emanate per i monasteri dati in commenda, e
che quelli che sono a capo di tali ordini sono tenuti a ricevere i visitatori e
ad eseguire le loro disposizioni.
I monasteri che sono
i principali dell’ordine, siano visitati secondo le costituzioni della santa
sede e di ciascun ordine. E finché dureranno tali commende, i priori claustrali
o - nei priorati dei conventi che hanno dei sottopriori - quelli che sono
addetti alle correzioni e alla direzione spirituale, siano eletti dai capitoli
generali o dai visitatori degli stessi ordini.
In ogni altro campo
i privilegi e le facoltà di questi ordini, riguardanti le loro persone, i loro
luoghi, i loro diritti, rimangano fermi ed intatti.
Capitolo XXI
Poiché la maggior
parte dei monasteri - anche abbazie, priorati e prepositure -, per la cattiva
amministrazione di quelli cui erano stati affidati, hanno sofferto non lievi
danni, sia nel campo spirituale che temporale, il santo sinodo desidera
assolutamente ricondurli alla disciplina propria della vita monastica.
Ma la condizione dei
tempi presenti è dura e difficile. E non si può apportare un rimedio comune a
tutti, subito e in ogni luogo, come si desidererebbe.
Perché, tuttavia,
non tralasci nessun provvedimento con cui si possa un giorno provvedere
salutarmente ai mali predetti, primo: esso confida che il sommo pontefice
romano nella sua pietà e prudenza farà del suo meglio, perché, secondo le
esigenze dei nostri tempi, a quelli che ora sono affidati in commenda e che
hanno propri conventi, vengano preposti religiosi dello stesso ordine, che
abbiano fatto la loro professione e che possano dirigere e guidare il gregge.
Quelli che si renderanno vacanti in avvenire, non siano conferiti se non a
religiosi di sperimentata virtù e santità.
Quanto poi ai monasteri principali e più importanti degli
ordini - nonché le abbazie e i priorati detti filiali di quelli chi
presentemente li ha in commenda, - a meno che non sia stato loro provvisto con
regolare successore - fra sei mesi dovrà professarne solennemente la regola o
lasciarli. Diversamente, queste commende si considerino vacanti ipso iure.
E perché in tutte le
singole prescrizioni precedenti non possa usarsi alcun inganno, il santo sinodo
comanda che nella provvista di tali monasteri venga espressamente nominata la
qualità di ciascuno, e che una provvista fatta diversamente sia considerata
illegale e non abbia affatto in suo favore il susseguente possesso, anche
triennale.
Capitolo XXII
Il santo sinodo
comanda che le prescrizioni dei precedenti decreti e di ogni loro singola parte
siano osservate in tutti i conventi e monasteri, nei collegi e nelle case di
monaci e religiosi di qualsiasi specie, di qualsiasi tipo di monache, vergini e
vedove, anche se esse vivano sotto il governo degli ordini militari, - anche di
Gerusalemme -, con qualsiasi nome esse siano indicate, sotto qualsiasi regola e
costituzione, e sotto qualsiasi tutela, amministrazione, soggezione,
annessione, o dipendenza da qualsiasi ordine religioso, mendicante o non
mendicante, di altri monaci regolari, o di canonici di qualsiasi tipo.
Tutto ciò, non ostante qualsiasi privilegio di tutti e
singoli questi ordini, qualsiasi possa esser la forma dell’espressione usata;
anche quelli contenuti nella costituzione detta Mare magnum; quelli
ottenuti nella fondazione; non ostante le costituzioni e le regole, anche
giurate; le consuetudini e le prescrizioni, anche immemorabili.
Se vi fossero dei
religiosi, sia uomini che donne, che vivono sotto una regola più severa e norme
più strette, il santo sinodo (eccettuata la facoltà di avere beni immobili in
comune) non intende allontanarli dal loro metodo di vita e dalla loro
osservanza.
E poiché il santo
sinodo desidera che tutto quello che è stato sopra ricordato sia mandato ad
effetto in ogni particolare, comanda a tutti i vescovi che, nei monasteri loro
soggetti e in tutti gli altri loro affidati con i precedenti decreti e così
pure a tutti gli abati e generali e agli altri superiori degli ordini
accennati, che le prescrizioni suddette vengano eseguite immediatamente. Se
qualcosa non sarà eseguita, i concili provinciali suppliscano e puniscano la
negligenza dei vescovi. I capitoli provinciali e generali dei religiosi, e, in
mancanza dei capitoli generali, i concili provinciali, provvedano con la
designazione di alcuni dello stesso ordine.
Il santo sinodo,
inoltre, esorta tutti i re, principi, repubbliche, autorità - e lo comanda loro
in virtù di santa obbedienza - a voler prestare il loro aiuto e a interporre la
loro autorità - quando ne fossero richiesti - a favore dei vescovi, degli
abati, dei generali e degli altri superiori, nell’esecuzione della riforma
sopra descritta. Così quanto è stato prescritto potrà esser felicemente
eseguito, a lode di Dio onnipotente.
Decreto di riforma generale.
Capitolo I
Sarebbe desiderabile
che chi riceve il ministero episcopale conosca i propri doveri e comprenda di
essere stato chiamato non per cercare la propria utilità, né per procurarsi
ricchezze o vivere nel lusso, ma a fatiche e preoccupazioni per la gloria di
Dio. Non c’è dubbio che anche gli altri fedeli saranno più facilmente incitati
alla religione e all’onestà, se vedranno i loro pastori preoccupati non delle
cose del mondo, ma della salvezza delle anime e della patria celeste.
Il santo sinodo
comprende che questi principi sono fondamentali per il rinnovamento della
disciplina nella chiesa ed esorta tutti i vescovi perché, meditandoli spesso,
anche con i fatti stessi e le azioni della vita, si mostrino conformi al loro
ufficio: cosa che può considerarsi un continuo modo di predicare. E prima di
tutto, diano un andamento tale a tutto il loro modo di vivere, che gli altri
possano prendere da essi esempio di frugalità, di modestia, di continenza e di
umiltà, che ci rende tanto graditi a Dio.
Sull’esempio,
quindi, di quanto prescrissero i nostri padri al concilio di Cartagine (412),
non solo comanda che i vescovi si contentino di una modesta suppellettile, di
una sobria mensa e di un vitto frugale, ma che si guardino bene perché nel
resto della loro vita e in tutta la loro casa non vi sia nulla di alieno da
questo santo genere di vita, che non mostri zelo per Iddio e disprezzo per le
vanità.
In modo particolare,
poi, proibisce loro assolutamente di cercare di favorire esageratamente i loro
parenti e familiari con i redditi della chiesa, poiché anche i canoni degli apostoli
proibiscono loro di donare ai loro parenti i beni ecclesiastici che sono di
Dio. Se poi fossero poveri, li diano loro come poveri, ma non li sottraggano e
non li dissipino per essi. Anzi il santo sinodo li esorta vivamente, perché
depongano del tutto questo affetto umano della carne verso i fratelli, i nipoti
e i parenti, da cui nella chiesa hanno avuto origine tanti mali.
Le cose dette dei
vescovi non solo devono valere - tenuto conto del grado di ciascuno - per tutti
quelli che hanno benefici ecclesiastici, sia regolari che secolari, ma si
stabilisce che debbano valere anche per i cardinali della santa chiesa romana,
poiché sarebbe inconcepibile che quelli col consiglio dei quali il romano
pontefice governa la chiesa universale, non debbano poi brillare per le virtù e
per una vita castigata, che attiri a buon diritto gli sguardi di tutti.
Capitolo II
La tristezza dei
tempi e la malizia delle eresie, che vanno sempre crescendo, costringe a non
trascurare nulla per l’edificazione dei popoli e la difesa della fede
cattolica. Il santo concilio, quindi, fa obbligo a tutti i patriarchi, primati,
arcivescovi, vescovi e a tutti gli altri che per diritto o per consuetudine
devono prender parte al concilio provinciale, che nel primo concilio
provinciale, che dovrà tenersi dopo la fine del presente sinodo, accettino
apertamente tutte e singole le definizioni e i decreti di questo santo
concilio; che promettano e facciano professione di vera obbedienza al sommo
pontefice romano. Dovranno anche respingere e anatematizzare pubblicamente
tutte le eresie condannate dai sacri canoni e dai concili generali,
specialmente da questo.
Lo stesso faranno,
per l’avvenire, al primo sinodo provinciale cui parteciperanno, quelli che
saranno promossi patriarchi, primati, arcivescovi e vescovi. Se qualcuno di
questi (Dio non voglia!) si rifiutasse, i vescovi comprovinciali dovranno
avvertirne subito il romano pontefice, sotto pena della divina indignazione. E
intanto si astengano dalla sua comunione.
Tutti quelli, poi,
che, sia al presente, sia in futuro, avranno dei benefici ecclesiastici, e
quelli che devono prendere parte al sinodo diocesano faranno la stessa cosa nel
primo sinodo. Se non lo facessero, siano puniti secondo le prescrizioni dei
sacri cànoni.
Tutti quelli,
inoltre, che hanno il dovere di curare le università e gli studi generali, di
visitarli e di riformarli, facciano in modo che queste stesse università
accettino integralmente i canoni e i decreti di questo santo sinodo, e che i
maestri, i dottori e gli altri insegnino ed interpretino le verità della fede
cattolica alla luce di essi, e si obblighino a seguire questo metodo all’inizio
di ogni anno con un solenne giuramento. Inoltre, se vi fossero altre cose,
nelle università, che avessero bisogno di riforma, quelli, cui spetta, le
emendino per l’aumento della religione e della disciplina ecclesiastica.
Le università che
sono direttamente sotto la protezione del pontefice romano e sono soggette alla
sua visita, sua santità cercherà di farle visitare e riformare salutarmente da
suoi delegati, nel modo descritto sopra e come a lui sembrerà utile.
Capitolo III
Quantunque la spada
della scomunica sia il nerbo della disciplina ecclesiastica e sia molto utile a
tenere a freno i popoli, tuttavia è da usarsi con molta parsimonia e cautela,
perché l’esperienza insegna che, se essa viene adoperata senza la dovuta
considerazione e per motivi non gravi, è piuttosto disprezzata che temuta, e
porta piuttosto la rovina che la salvezza.
Quindi, le
scomuniche che, premesse le ammonizioni, tendono a ottenere confessioni, o sono
comminate per cose perdute o rubate, non siano assolutamente decise da altri
che dal vescovo, e anche allora se non per cose di una certa importanza, e dopo
che il caso sia stato diligentemente esaminato dal vescovo con matura
riflessione, e faccia impressione sul suo animo. Né si lasci indurre a
concederla dall’autorità di qualsiasi secolare, neppure dei pubblici poteri. Ma
tutta la questione rimanga affidata al suo giudizio e alla sua coscienza, e lui
solo ne giudichi, tenuto conto della cosa, del luogo, della persona, delle
circostanze.
Si comanda a tutti i
giudici ecclesiastici, di qualunque dignità, che, ogni qualvolta nelle cause
giudiziarie essi potranno fare con autorità propria una esecuzione reale o
personale, in qualsiasi momento del giudizio, si astengano dalle censure
ecclesiastiche o dall’interdetto. Nelle cause civili, però, che in qualsiasi
modo riguardano il Soro ecclesiastico, sarà lecito, se sembrerà loro opportuno,
procedere contro chiunque, anche contro laici, e definire le cause con multe
pecuniarie - che verranno assegnate ai luoghi pii ivi esistenti, non appena
riscosse - col prendere pegni, con l’incarcerare persone, - cose che potranno
fare per mezzo di esecutori propri o di altri -; o anche con la privazione dei
benefici e con altri mezzi offerti dal diritto. Ma se l’esecuzione reale o
personale contro i responsabili non potesse essere fatta in questo modo e si
avesse contumacia verso il giudice, allora egli, oltre che con le altre pene,
potrà colpirli anche con la scomunica, a suo arbitrio.
Anche nelle cause
criminali, quando può aver luogo l’esecuzione reale e personale accennata
sopra, si dovrà fare in modo da astenersi dalle censure. Ma se questa
esecuzione non potesse avere luogo facilmente, sarà permesso al giudice
servirsi di sanzioni spirituali contro i colpevoli, se, però, la qualità della
colpa, - e non senza previa ammonizione, fatta almeno per due volte, anche con
editto - lo richieda.
Sia poi
assolutamente illecito a qualsiasi autorità secolare, proibire al giudice
ecclesiastico di scomunicare qualcuno, o comandare di revocare la scomunica,
col pretesto che non sono state osservate le norme del presente decreto.
Queste, infatti, sono cose che riguardano gli ecclesiastici e non i secolari.
Qualsiasi scomunicato, inoltre, se dopo le legittime ammonizioni non si
ravvede, non solo non potrà essere ammesso ai sacramenti, alla comunione e alla
familiarità con i fedeli, ma qualora, irretito nelle censure, con animo
impenitente vivesse miseramente in esse per un anno, si potrà anche procedere
contro di lui come sospetto di eresia.
Capitolo IV
Avviene spesso in
alcune chiese che il numero delle messe da celebrarsi per i vari lasciti dei
defunti sia tanto grande, da non potersi soddisfare ad esse nei singoli giorni
voluti dai testatori o che l’elemosina da essi lasciata per celebrare sia tanto
modesta, da non potersi trovare facilmente chi voglia sobbarcarsi a questo
incarico. Per cui restano inadempiute le pie volontà dei testatori e si gravano
le coscienze di coloro cui incombono questi doveri.
Il santo sinodo,
desiderando che questi lasciti ad usi pii siano soddisfatti quanto più
pienamente ed utilmente è possibile, dà facoltà ai vescovi, abati e generali di
ordini, perché gli uni nel sinodo diocesano, gli altri nei loro capitoli
generali, dopo aver diligentemente studiato la questione, possano stabilire
secondo la loro coscienza, quello che a loro sembrerà giovare maggiormente
all’onore e al culto di Dio e alla utilità delle chiese in modo, però, che sia
fatta la commemorazione dei defunti che hanno lasciato legati pii per la salute
delle loro anime.
Capitolo V
La logica richiede
che a quelle cose che sono bene ordinate, non si rechi pregiudizio con
disposizioni contrarie.
Quando, perciò,
nella erezione o fondazione di benefici di qualsiasi natura, o in altre
costituzioni si richiedono certe qualità, o sono annessi ad essi determinati
oneri, nel conferimento di qualsiasi beneficio o in qualsiasi altra
disposizione non si deve derogare a queste prescrizioni.
Le stesse norme si
osservino per le prebende teologali, magistrali, dottorali, presbiterali,
diaconali, suddiaconali, quando fossero state così costituite, di modo che in
nulla si venga meno, in nessuna provvista, a ciò che riguarda le loro qualità o
gli ordini. Ogni provvista fatta in deroga a queste norme, sia considerata
illegittima.
Capitolo VI
Il santo sinodo stabilisce che in tutte le chiese cattedrali
e collegiate venga osservato il decreto emanato sotto Paolo III, di felice
memoria, che comincia con le parole: Capitula cathedralium (413). Ciò,
non solo quando il vescovo le visita, ma anche quando ex officio o,
dietro richiesta procede contro qualcuno, conforme a quanto è prescritto in
questo stesso decreto. Quando tuttavia, procede fuori della visita, si
osservino queste norme. E cioè:
Il capitolo,
all’inizio di ogni anno, scelga due propri membri, secondo il cui consiglio e
col cui consenso il vescovo - o il suo vicario - sia tenuto a procedere sia
nell’istruire il processo, che negli altri atti fino alla conclusione della
causa compresa, - tuttavia dinanzi al notaio dello stesso vescovo e nella sua
casa, o nel consueto tribunale.
I due abbiano un
solo voto ed uno abbia facoltà di aderire al vescovo. Se tutti e due in qualche
atto (sia la sentenza interlocutoria, sia definitiva), discordassero dal
vescovo, allora entro lo spazio di sei giorni, insieme col vescovo, eleggano un
terzo membro; e se in questa elezione discordassero, l’elezione sia devoluta al
vescovo più vicino. E così la questione, in cui v’era disaccordo, venga risolta
secondo l’opinione di quella parte con cui il terzo si troverà d’accordo. In
caso diverso, il processo e tutte le sue conseguenze siano nulli, e non abbiano
alcun effetto giuridico.
Nelle questioni
criminali di incontinenza, di cui nel decreto sui concubinari (414) e così pure
nelle colpe più gravi che importassero la deposizione o la degradazione, quando
si teme la fuga, perché non venga eluso il giudizio e quindi c’è bisogno della
detenzione personale, il vescovo, all’inizio, potrà procedere da solo ad una
sommaria informazione e alla necessaria detenzione, osservando, tuttavia, nel
resto, l’ordine sopra descritto. In ogni caso, però, si abbia l’accortezza di
custodire i colpevoli - naturalmente secondo la qualità della colpa e delle
persone - in luogo decente.
Ai vescovi, inoltre
si attribuisca l’onore dovuto alla loro dignità. Nel coro e nel capitolo, nelle
processioni e nelle altre pubbliche manifestazioni, abbiano il primo posto, il
luogo che essi stessi si scelgono e la maggiore autorità in ogni cosa. Se essi,
inoltre, hanno qualcosa da proporre alla discussione dei canonici, e non si
tratta di cosa che riguardi l’utilità propria o dei loro familiari, i vescovi
stessi convochino il capitolo, chiedano i voti e concludano secondo questi.
Assente il vescovo, ciò sia fatto senz’altro da quei membri del capitolo, cui
spetta per diritto o per consuetudine, senza che venga ammesso il vicario del
vescovo. Nelle altre cose, la giurisdizione e i poteri del capitolo - se ne avesse
- e l’amministrazione dei beni sia assolutamente salva ed intatta.
Quelli che non hanno
dignità e non appartengono al capitolo, nelle cause ecclesiastiche siano tutti
soggetti al vescovo, non ostante i privilegi, che competessero anche secondo le
tavole di fondazione, le consuetudini, anche immemorabili, le sentenze, i
giuramenti, gli accordi, che obblighino solo i loro autori. Si eccettuano,
tuttavia, tutti i privilegi concessi alle università degli studi generali, o ai
loro membri.
Tutte queste norme,
però, ed ogni singola loro disposizione non si applicheranno a quelle chiese,
dove i vescovi o i loro vicari in forza delle costituzioni, di privilegi, di
consuetudini, di accordi, o di qualunque altra norma avessero una potestà,
un’autorità e una giurisdizione maggiore di quanto non sia stato stabilito col
presente decreto. Né il santo sinodo intende derogare ai loro poteri.
Capitolo VII
Poiché nei benefici
ecclesiastici tutto ciò che dà la sensazione di una successione ereditaria è
odioso alle sacre costituzioni e contrario ai decreti dei padri, a nessuno, in
futuro, sia concesso, anche col consenso degli interessati, l’accesso e il
regresso a qualsiasi beneficio ecclesiastico. Quelli concessi finora non siano
sospesi, estesi o trasferiti.
Questo decreto dovrà
essere osservato per qualsiasi beneficio ecclesiastico, per le chiese
cattedrali, e per qualsiasi persona, anche per quelle rivestite della dignità
cardinalizia.
Anche per quanto
riguarda le coadiutorie con futura successione sia osservata la stessa norma e
non dovranno essere concesse a nessuno, di qualsiasi beneficio ecclesiastico si
tratti. E se qualche volta la necessità urgente di una chiesa cattedrale o di
un monastero o una evidente utilità richiederà che si dia al prelato un
coadiutore, questi non sia concesso mai con futura successione, se prima il
caso non è stato diligentemente considerato dal pontefice romano e non sia
certo che in esso concorrono tutte le qualità, che secondo il diritto e i
decreti di questo santo sinodo, si richiedono nei vescovi e nei prelati. In
caso diverso, le concessioni fatte su questo punto siano considerate illegali.
Capitolo VIII
A quanti hanno
benefici ecclesiastici, secolari o religiosi, il santo sinodo ricorda che si
abituino ad esercitare con pronta benignità il dovere dell’ospitalità, così
frequentemente comandato dai santi padri, per quanto, naturalmente, lo
permetteranno i loro proventi; e ricordino che quelli che amano l’ospitalità,
ricevono Cristo nei loro ospiti (415).
Quelli che hanno in commenda, in amministrazione o a
qualsiasi altro titolo, quelli che nel comune linguaggio sono chiamati
"ospedali", o altri luoghi pii, istituiti principalmente per
l’utilità dei pellegrini, degli infermi, dei vecchi o dei poveri; o che li
avessero perché uniti alle proprie chiese; o se le chiese parrocchiali fossero
per caso unite agli ospedali, o erette in ospedali, e concesse in
amministrazione ai loro patroni il santo sinodo comanda assolutamente che essi
svolgano l’incarico ed esercitino l’ufficio loro imposto, e con i frutti a ciò
destinati pratichino davvero quella ospitalità che devono praticare, secondo la
costituzione del concilio di Vienne, già altra volta rinnovata in questo stesso
sinodo sotto Paolo III, di felice memoria, e che inizia con le parole: Quia
contingit (416).
Se questi ospedali
sono stati istituiti per accogliere un determinato genere di pellegrini, di
infermi o di altre persone, e nel luogo ove essi si trovano, non vi fossero
tali persone o ve ne fossero pochissime, si comanda ancora che i loro redditi
siano devoluti a altro uso pio, che sia simile il più possibile al loro scopo,
e, considerato il luogo o il tempo, il più utile, come sembrerà meglio al
vescovo e a due membri del capitolo, che per la loro esperienza siano tra i più
capaci, scelti dal vescovo stesso; a meno che nella loro fondazione o
costituzione non sia stato disposto diversamente, anche per questo caso. Allora
il vescovo dovrà aver cura di fare eseguire quanto è stato ordinato, o, se non
fosse possibile, provveda utilmente egli stesso secondo le direttive date
sopra.
Se, quindi, tutti
quelli, di cui abbiamo parlato, ed ognuno di essi, di qualsiasi ordine o
istituto religioso e di qualsiasi dignità, anche se quelli che hanno
l’amministrazione degli ospedali fossero laici - non soggetti, però, a
religiosi, dove è in vigore l’osservanza della regola - ammoniti
dall’ordinario, avessero, in concreto, cessato dall’esercitare con tutti i
mezzi necessari, cui sono tenuti, il dovere dell’ospitalità, potranno essere
costretti a ciò con le censure ecclesiastiche e con altri mezzi legali.
Potranno anche essere privati per sempre dell’amministrazione e della cura
dello stesso ospedale e sostituiti con altri. Coloro saranno tenuti, in
coscienza, alla restituzione dei frutti che avessero percepito contro lo scopo
degli stessi ospedali, che non potrà essere in nessun modo condonata o
attenuata da una composizione.
L’amministrazione o
il governo di tali luoghi non sia mai affidata in futuro alla stessa, identica
persona, a meno che nelle tavole di fondazione non si trovi scritto
diversamente. Per quanto riguarda tutte queste disposizioni, intendiamo che
abbiano valore, non ostante qualsiasi unione, esenzione e consuetudine in
contrario, anche immemorabile, indulti e privilegi di qualsiasi natura.
Capitolo IX
Come non è giusto
abolire i legittimi diritti di patronato e violare le pie volontà dei fedeli,
così non deve permettersi che con questa scusa si assoggettino i benefici
ecclesiastici, come da molti svergognatamente si sta facendo. Perché, quindi, in
ogni cosa si osservi il debito modo, il santo sinodo stabilisce che il
"diritto di patronato" abbia origine da fondazione o da istituzione,
che possa provarsi con documenti autentici e con gli altri elementi richiesti
dal diritto; o anche da presentazioni che si siano ripetute per un tempo
lunghissimo, che ecceda la memoria d’uomo; o anche in altro modo, secondo le
disposizioni del diritto.
Quando, invece, si
tratta di persone, comunità, o università, nelle quali si suppone per lo più
che tale diritto abbia avuto origine facilmente da usurpazione, dovrà
richiedersi una documentazione più nutrita e più scrupolosa, per poter provare
questo titolo. E la prova del tempo immemorabile non sarà loro sufficiente, se
non nel caso che oltre agli altri elementi necessari - si possano provare da
atti autentici anche le presentazioni per non meno di cinquant’anni continui, e
che abbiano sortito tutte il loro effetto.
Tutti gli altri
patronati sui benefici, sia secolari che regolari o parrocchiali, sulle dignità
o su qualsiasi altro beneficio, su una chiesa cattedrale o collegiata; e così
pure le facoltà e i privilegi concessi, - sia in forza del patronato, che per
qualsiasi altro diritto, - di nominare, scegliere e presentare ad essi quando
si rendono vacanti (eccetto, i legittimi patronati sulle chiese cattedrali e
gli altri che appartengono all’imperatore, ai re, a quanti hanno un regno e
agli altri principi supremi, che hanno diritto di comando sui loro sudditi, e
quelli che sono stati concessi in favore degli studi generali), tutti questi,
dunque, si devono considerare abrogati e nulli, insieme col quasi possesso che
ne sia seguito. Questi benefici potranno esser conferiti, da quelli che hanno
il diritto di darli, come benefici liberi e le provviste abbiano pieno effetto
giuridico. I vescovi, inoltre, potranno respingere quelli che sono stati
presentati dai patroni, se non fossero adatti. Se il diritto di istituzione
appartenesse ad inferiori, i candidati siano esaminati dal vescovo,
conformemente a quanto altrove è stato stabilito da questo santo sinodo. In
caso contrario, il conferimento fatto dagli inferiori, sia nullo e vano.
Quanto ai patroni
dei benefici di qualsiasi ordine e dignità, anche se fossero comuni,
università, collegi di qualsiasi qualità di chierici o di laici, quando si
tratta della riscossione dei frutti, dei proventi, delle entrate di qualsiasi
beneficio, anche se avessero su di essi, per fondazione e dotazione, il diritto
di patronato, non si intromettano in nessun modo e per nessun motivo ed occasione
ma, non ostante qualsiasi consuetudine, li lascino liberamente al rettore o
beneficiario, perché li distribuisca. Né osino trasferire ad altri tale diritto
di patronato con titolo di vendita, o con qualsiasi altro titolo, contro le
disposizioni del diritto. Se facessero diversamente, siano sottoposti alla
scomunica e all’interdetto, e siano per ciò stesso privati del diritto di
patronato.
Le accessioni,
inoltre, - fatte per via di unione - di benefici liberi alle chiese soggette al
diritto di patronato, anche di laici, a chiese parrocchiali ed altri benefici
di qualsiasi specie, anche semplici, alle dignità o agli ospedali, così da
trasformare questi benefici liberi in benefici della stessa natura di quelli
cui vengono uniti, e da sottoporli al diritto di patronato, se non hanno ancora
conseguito completamente il loro effetto, si deve supporre che le stesse unioni
siano state concesse con la simulazione, non ostante qualsiasi formula usata o
derogazione espressa. Lo stesso sarà di quelle fatte in futuro, da qualsiasi
autorità, anche apostolica. Tali unioni non dovranno più essere eseguite; e gli
stessi benefici uniti, quando si renderanno vacanti, siano assegnati
liberamente come prima.
Quelle fatte da non
più di quarant’anni, malgrado avessero ottenuto il loro effetto e la piena
incorporazione, siano rivedute ed esaminate dagli ordinari, come delegati della
sede apostolica; quelle che fossero state ottenute con la falsità o con
l’inganno, siano dichiarate nulle assieme con le unioni; i benefici siano separati
e conferiti ad altri.
Allo stesso modo,
qualunque patronato sulle chiese e su qualsiasi altro beneficio o dignità prima
libero, acquistato da non oltre quarant’anni, e quelli che saranno acquistati
in futuro, per aumento della dote, per una nuova costruzione o per altra simile
causa, siano diligentemente esaminati dagli ordinari, anche con l’autorità
della sede apostolica, quali suoi delegati, come già detto sopra, senza che in
ciò possano trovare impedimento nelle facoltà o nei privilegi concessi a chiunque.
Quelli che non fossero stati legittimamente costituiti per un’evidentissima
necessità di una chiesa, di un beneficio o di una dignità, siano revocati,
senza danno di chi li ha, e dopo aver restituito al patrono quello che egli
avesse dato per ottenere il diritto, restituiscano tali benefici al primitivo
stato di libertà, non ostante i privilegi, le costituzioni e le consuetudini,
anche immemorabili.
Capitolo X
I maliziosi suggerimenti dei richiedenti e talora anche la
lontananza dei luoghi non consentono di avere una conoscenza adeguata delle
persone, cui si affidano le cause, e, quindi, qualche volta le cause, nelle
loro varie fasi, sono rimesse a giudici non del tutto idonei. Il santo sinodo
stabilisce che, nei singoli concili provinciali o diocesani, si scelgano delle
persone che presentino le qualità richieste dalla costituzione di Bonifacio
VIII, che inizia: Statutum (417), adatte sotto ogni altro aspetto a
questo incarico, affinché oltre che agli ordinari dei luoghi, anche ad essi, in
seguito, siano affidate le cause ecclesiastiche e spirituali, appartenenti al
foro ecclesiastico, da delegarsi nei vari luoghi.
Se, nel frattempo,
morisse uno di quelli designati, l’ordinario con il consiglio del capitolo,
sostituisca un altro al suo posto, fino al concilio provinciale o diocesano.
Così ogni diocesi avrà almeno quattro o più persone approvate e, come è stato
detto sopra, qualificate, cui tali cause possano essere affidate da qualsiasi
legato, o nunzio, o anche dalla sede apostolica.
Del resto, dopo la
designazione, - che immediatamente i vescovi trasmetteranno al sommo pontefice
romano, - qualsiasi delega fatta ad altri giudici deve considerarsi illegale.
Il santo sinodo ammonisce sia i giudici ordinari che ogni altro giudice, che
cerchino di porre termine alle cause nel più breve tempo possibile; con la
fissazione del termine o con altra misura adatta, cerchino di opporsi alle arti
dei litiganti, sia nella contestazione della lite, sia nel differire qualche
altra parte della causa.
Capitolo XI
Un grande
pregiudizio deriva alle chiese, quando si affittano i loro beni per denaro in
contanti, a discapito dei successori. Quindi tutte queste locazioni - se
vengono effettuate con pagamento anticipato - in nessun modo devono ritenersi
valide, con pregiudizio dei successori, non ostante qualsiasi indulto o
privilegio. Né queste locazioni potranno esser confermate nella curia romana o
fuori di essa.
Non sarà lecito
neppure affittare le giurisdizioni ecclesiastiche, cioè le facoltà di nominare
o di designare i vicari spirituali, né sarà permesso agli affittuari di
esercitare tali facoltà, direttamente o per mezzo di altri. In caso contrario,
le concessioni, anche quelle provenienti dalla sede apostolica, siano
considerate illegali.
Il santo sinodo
inoltre, dichiara nulle, anche se sono state confermate dall’autorità
apostolica, le locazioni fatte da non più di trent’anni e per lungo tempo,
ossia - come dicono in alcune parti - per ventinove anni, o per due volte
ventinove anni, e che il sinodo provinciale, o persone da esso deputate,
giudicheranno essere state fatte in danno della chiesa, contro le disposizioni
canoniche.
Capitolo XII
Non si devono
sopportare quelli che, con varie arti, cercano di sottrarre le decime spettanti
alle chiese, o quelli che si impadroniscono temerariamente di quelle dovute
dagli altri; il pagamento delle decime, infatti, è dovuto a Dio; quelli che non
intendono pagarle, o impediscono agli altri di farlo, si appropriano di cose
altrui (418).
Il santo sinodo,
quindi, comanda a tutti quelli che hanno il dovere di pagar le decime, di
qualunque grado o condizione essi siano, che in futuro paghino completamente le
decime, a cui per diritto sono tenuti, alla cattedrale o a qualsiasi altra
chiesa o persona, alla quale sono legittimamente dovute. E quelli che le
sottraggono o ne impediscono il pagamento, siano scomunicati, senza che possano
essere assolti da questa colpa, se non a completa restituzione avvenuta.
Il santo sinodo
esorta quindi tutti e ciascuno affinché, per carità cristiana e per il dovere
che hanno verso i loro pastori, non trovino pesante venire largamente incontro
con i beni loro dati da Dio a quei vescovi e parroci che sono a capo di chiese
meno provvedute, a lode di Dio e a salvaguardia della dignità dei loro pastori,
che vegliano per essi (419).
Capitolo XIII
Il santo sinodo dispone che in tutti quei luoghi, dove da
oltre quarant’anni soleva esser versata la quarta funeraria alla chiesa
cattedrale o parrocchiale, e dove poi fosse stata concessa ad altri enti:
monasteri, ospedali o qualsiasi luogo pio, per qualsiasi privilegio, essa,
nonostante le concessioni, le grazie, i privilegi, anche quelli chiamati Mare
magnum od altri di qualsiasi specie, in seguito venga versata, con pieno
diritto e nella stessa misura, alla chiesa cattedrale o parrocchiale.
Capitolo XIV
Quanto sia turpe ed
indegno del nome di chierici - che si sono consacrati al culto di Dio - vivere
nell’abbiezione dell’impurità e nell’immondo concubinato, lo dimostra a
sufficienza la cosa stessa, in sé, per il comune disagio di tutti i fedeli e il
grande disonore della milizia clericale.
Perché, dunque, i
ministri della chiesa siano richiamati a quella continenza ed integrità di
vita, che si deve e perché, di conseguenza, il popolo impari a riverirli tanto
maggiormente, quanto più si accorgerà che essi conducono una vita onesta, il
santo sinodo proibisce a qualsiasi chierico di tenere, in casa o fuori,
concubine o altre donne su cui possano cader sospetti o di aver con esse
qualche relazione. Altrimenti, siano puniti con le pene stabilite dai sacri
canoni o dalle disposizioni delle chiese. Se ammoniti dai superiori, non si
astenessero da esse, siano privati per ciò stesso della terza parte dei frutti,
degli introiti e dei proventi di qualsiasi loro beneficio e di qualsiasi pensione,
che sarà devoluta alla fabbrica della chiesa o ad altro luogo pio, a giudizio
del vescovo.
Se poi, perseverando
nella colpa con la stessa o altra donna, non ascoltassero neppure la seconda
ammonizione, non solo perderanno per ciò stesso ogni frutto o provento dei loro
benefici e le pensioni - che saranno devoluti agli stessi enti -, ma saranno
anche sospesi dall’amministrazione degli stessi benefici, fino a che piacerà
all’ordinario, anche come delegato della sede apostolica. Se, finalmente, così sospesi,
non le rimandassero o anche avessero qualche relazione con esse, allora siano
privati per sempre di ogni beneficio, porzione, ufficio, pensione ecclesiastica
e siano resi inabili per l’avvenire e considerati indegni di qualsiasi onore,
dignità, beneficio, ufficio, fino a quando, dopo l’evidente emendamento della
vita, non sembri opportuno ai loro superiori, per giusto motivo, di
dispensarli. Se poi avvenisse che, dopo averle rimandate, osassero riprendere
la relazione interrotta o anche prendere con sé altre simili donne scandalose,
oltre alle pene già dette, siano colpiti con la scomunica; e non vi sarà
appello o esenzione che possa impedirlo.
La competenza su
tutto ciò che è stato detto non riguarderà gli arcidiaconi o i decani od altri
inferiori, ma gli stessi vescovi, che potranno procedere senza rumore e senza
un apparato giudiziario, ma attenendosi alla sola verità del fatto. I chierici
che non avessero benefici ecclesiastici o pensioni, siano puniti dallo stesso
vescovo, a seconda della loro ostinazione e della qualità del delitto, con la
pena del carcere, con la sospensione dall’ordine, con l’inabilità ad ottenere
benefici e con altri mezzi, in conformità dei sacri canoni.
Qualora anche i vescovi (Dio non voglia!) non si astenessero
da tale delitto, e, ammoniti dal sinodo provinciale, non si correggessero,
siano ipso facto sospesi; e, se continuassero, siano anche deferiti al
romano pontefice, che li punirà secondo la qualità della colpa, e, se
necessario, anche con la privazione.
Capitolo XV
Perché il ricordo
dell’incontinenza paterna sia tenuto lontano dai luoghi consacrati a Dio, cui
si conviene sommamente la purezza e la santità, non sia lecito ai figli di
chierici non nati da legittimo matrimonio, avere un qualsiasi beneficio, anche
diverso, in quelle chiese dove i loro padri hanno presentemente qualche
beneficio ecclesiastico; e neppure sia lecito ad essi, in qualche modo, servire
nelle stesse chiese e avere pensioni sui frutti dei benefici che i loro
genitori avessero o avessero avuto in passato. Che se attualmente si desse il
caso che padre e figlio abbiano benefici nella stessa chiesa, il figlio sia
costretto a rinunziare al suo beneficio entro tre mesi, o a cambiarlo con un
altro posto altrove. Diversamente, ne sia giuridicamente privato ed ogni
dispensa su ciò sia considerata invalida.
Inoltre, le rinunzie
scambievoli, qualora in futuro ne venissero fatte da genitori chierici a favore
dei figli, - così che l’uno passi il beneficio all’altro -, siano considerate
come fatte in frode a questo decreto; e i conferimenti seguiti a causa di
queste rinunzie o di altre, che fossero state fatte in frode alla legge, non
porteranno ai figli dei chierici alcun vantaggio.
Capitolo XVI
Il santo sinodo
stabilisce che i benefici ecclesiastici secolari, qualunque nome abbiano, che
fin dal loro sorgere, o in qualsiasi altro modo, implichino cura d’anime, in
futuro non possano essere trasformati in benefici semplici, anche se ne fosse
assegnata ad un vicario perpetuo la dovuta porzione. Ciò, non ostante qualsiasi
grazia, che però non abbia ottenuto ancora pienamente il suo effetto.
In quelli, invece,
nei quali - contro la loro istituzione o fondazione - la cura d’anime è stata
trasferita ad un vicario perpetuo, anche se si trovassero in questo stato da
tempo immemorabile, se non fosse stata assegnata la dovuta parte dei frutti al
vicario perpetuo della chiesa, comunque esso si chiami, quanto prima ed al
massimo entro un anno dalla fine del presente concilio, gli venga assegnata a
giudizio dell’ordinario, secondo quanto stabilisce il decreto emanato sotto
Paolo III, di felice memoria (420).
Se poi questo non
potesse attuarsi facilmente, o entro il termine predetto non fosse stato
eseguito, non appena per la rinunzia o per la morte del vicario o del rettore o
in qualsiasi altra maniera, uno di essi venisse a vacare, il beneficio sia
riunito alla cura d’anime, il nome di vicaria cessi, e sia riportata al suo
stato primitivo.
Capitolo XVII
Il santo sinodo non
può non rammaricarsi grandemente, sentendo che alcuni vescovi, dimenticando il
loro stato, abbassano non poco la loro dignità episcopale, comportandosi in
chiesa e fuori di essa con indecente servilismo con ministri regi, governatori,
baroni, e quasi fossero inservienti di second’ordine all’altare, non solo danno
ad essi la precedenza, senza alcuna dignità, ma li servono anche personalmente.
Perciò questo santo
sinodo, detestando queste e simili manifestazioni, rinnovando tutti i sacri
canoni e i concili generali e le altre disposizioni apostoliche, che riguardano
il decoro e la maestà della dignità vescovile, comanda che in avvenire i
vescovi si astengano da questo modo di agire e che, in chiesa e fuori abbiano
dinanzi agli occhi il loro grado e il loro ordine e si ricordino dovunque di
essere padri e pastori. Esorta, poi, i principi e tutti gli altri a trattarli
con l’onore dovuto ai padri e con la debita riverenza.
Capitolo XVIII
Come qualche volta
può essere utile allentare pubblicamente il freno della legge, perché più
facilmente si possa far fronte ai casi e alle necessità che si presentano, per
la comune utilità, così sciogliere troppo frequentemente la legge ed essere
indulgenti con quelli che lo richiedono, senza considerare le persone e le
circostanze, non è altro che aprire la strada alla trasgressione delle leggi.
Perciò sappiano
tutti che i sacratissimi canoni devono essere osservati da tutti, e, almeno
finché si può, senza alcuna distinzione. Se poi un motivo urgente e ragionevole
ed una utilità maggiore richiederà qualche volta che in certi casi si debba dispensare,
questo dovrà farsi solo dopo aver ben riflettuto e gratuitamente, da parte di
tutti quelli che hanno il potere di dispensare. In caso diverso, la dispensa
sia considerata invalida.
Capitolo XIX
L’usanza dei duelli,
- introdotta dal diavolo, perché con la morte sanguinosa dei corpi consegua
anche la morte delle anime -, sia del tutto proscritta dal mondo cristiano. A
questo riguardo, l’imperatore, i re, i duchi, i principi, i marchesi, i conti e
gli altri signori temporali comunque essi vengano chiamati, che concedessero un
luogo, nelle loro terre, per queste singolari tenzoni fra i cristiani, siano
senz’altro scomunicati e privati di ogni giurisdizione e di ogni dominio su
quella città, castello o luogo, nel quale o presso il quale permettessero il
duello, qualora li avessero da parte della chiesa; se fossero feudali,
ripassino subito sotto il dominio dei loro diretti signori.
Quelli che
combattono e i loro così detti "padrini" incorrano nella scomunica e
nella proscrizione di tutti i loro beni e nell’infamia perpetua; e dovranno
esser puniti, secondo i sacri canoni, come omicidi; e, se morissero durante il
combattimento, essere privati per sempre della sepoltura ecclesiastica. Anche
quelli che nel caso del duello dessero il loro consiglio, sia in teoria che in
pratica o in qualsiasi altro modo persuadessero qualcuno a ciò; ed inoltre gli
spettatori, siano legati dal vincolo della scomunica e della maledizione
eterna. Ciò, non ostante qualsiasi privilegio, o qualsiasi perversa
consuetudine, anche immemorabile.
Capitolo XX
Il santo sinodo,
desiderando che la disciplina ecclesiastica non solo torni al suo primitivo
splendore tra il popolo cristiano, ma si mantenga sempre salda e al sicuro da
qualsiasi impedimento, oltre a quello che ha stabilito per le persone
ecclesiastiche, crede di dover ricordare il loro dovere anche ai principi
secolari. E spera che essi, come cattolici che Dio ha voluto protettori della
santa fede e della chiesa, non solo vorranno permettere che alla chiesa venga
restituito il proprio diritto, ma richiameranno tutti i loro sudditi alla
dovuta riverenza verso il clero, i parroci, e gli ordini maggiori. Non
permetteranno che i loro officiali ed autorità inferiori, per cupidigia o per
una certa negligenza, violino l’immunità della chiesa e delle persone
ecclesiastiche, stabilita per ordinamento divino e sancita dai sacri canoni; ma
li obbligheranno col loro stesso esempio, mostrando il dovuto rispetto per le
costituzioni dei sommi pontefici e dei concili.
Stabilisce, quindi,
ed ordina che i sacri canoni e tutti i concili generali e le altre disposizioni
apostoliche, emanate a favore delle persone ecclesiastiche, della libertà
ecclesiastica e contro i suoi violatori, - che rinnova tutte anche col presente
decreto - debbano essere osservate scrupolosamente da tutti. Ammonisce, perciò,
l’imperatore, i re, le repubbliche, i prìncipi e ciascuno di essi, di qualunque
stato e dignità essi siano, affinché quanto più largamente sono stati dotati di
beni temporali e quanto maggiore è la loro autorità, tanto più profondamente
mostrino la loro venerazione per quelle cose che sono di diritto ecclesiastico,
perché esse stanno sommamente a cuore a Dio e sono sotto il suo patrocinio.
Essi non tollerino che alcun barone, signorotto, reggente o altro magistrato
temporale e specialmente alcuno dei loro dipendenti vi porti offesa. Vogliano,
piuttosto, prendere severi provvedimenti contro quelli che impediscono la sua
libertà, la sua immunità e la sua giurisdizione. Si mostrino loro, anzi, come
esempio di pietà, di religione, di protezione delle chiese, imitando gli ottimi
e religiosissimi prìncipi loro antenati, che con la loro sovrana autorità e
munificenza accrebbero il patrimonio della chiesa, per non parlare della difesa
che essi ne fecero dalle ingiurie degli altri.
Ciascuno, quindi, in
questo campo, compia con diligenza il proprio dovere; così il culto divino
potrà essere devotamente celebrato; i prelati e gli altri chierici potranno
rimanere tranquilli e senza alcun impedimento nelle loro sedi, e attendere ai
loro doveri, con frutto e con edificazione del popolo.
Capitolo XXI
Come ultima cosa, il
santo sinodo dichiara che tutto quello che è stato stabilito in questo
concilio, tanto sotto Paolo III e Giulio III, di felice memoria, quanto sotto
Pio IV, sommi pontefici, - sia preso nel suo insieme che nelle singole
prescrizioni -, riguardo alla riforma dei costumi e alla disciplina
ecclesiastica, con qualsiasi formula ed espressione sia stato enunciato, è
stato stabilito in modo che sia sempre salva, e si debba intendere sempre
salva, l’autorità della sede apostolica.
Decreto di proseguimento della sessione per il giorno
seguente.
Dato che non tutto
quello che avrebbe dovuto esser trattato nella presente sessione può esser
condotto a termine, essendo già tardi, secondo quanto è stato stabilito dai
padri in congregazione generale, quello che rimane viene rimandato a domani,
continuando questa stessa sessione.
Decreti pubblicati il secondo giorno della sessione.
Le indulgenze.
La potestà di
elargire indulgenze è stata concessa alla chiesa da Cristo ed essa ha usato di
questo potere, ad essa divinamente concesso, fin dai tempi più antichi. Per
questo il santo sinodo insegna e comanda di mantenere nella chiesa quest’uso,
utilissimo al popolo cristiano e approvato dall’autorità dei sacri concili e
colpisce di anatema quelli che asseriscono che esse sono inutili o che la
chiesa non ha potere di concederle. Esso, però, desidera che nel concedere
queste indulgenze si usi moderazione, secondo l’uso antico e approvato nella
chiesa, perché per la troppa facilità la disciplina della chiesa non debba
indebolirsi.
Desiderando poi che
vengano emendati e corretti gli abusi in questo campo, in occasione dei quali
questo augusto nome delle indulgenze viene bestemmiato dagli eretici, col
presente decreto stabilisce, in generale, che si debba assolutamente abolire,
per conseguirle, qualsiasi indegno traffico, da cui sono sgorgati per il popolo
cristiano infiniti motivi di abuso.
Gli altri abusi che
sono promanati in qualsiasi modo dalla superstizione, dall’ignoranza, dalla
mancanza di rispetto, e da altre cause, non potendosi facilmente proibire più
minutamente, per le diverse forme di corruzione delle province e dei luoghi in
cui si commettono, il santo sinodo comanda a tutti i vescovi che ognuno
raccolga diligentemente questi abusi nella sua chiesa, e ne faccia una
relazione al primo sinodo provinciale, così che, sentita anche l’opinione degli
altri vescovi, siano subito riferiti al sommo pontefice romano, il quale, nella
sua autorità e prudenza stabilisca quello che giova a tutta la chiesa, affinché
il dono delle sante indulgenze sia dispensato piamente, e santamente, e senza
alcuna corruttela a tutti i fedeli.
La scelta dei cibi, i digiuni, le feste.
Il santo concilio
esorta, inoltre, e scongiura tutti i pastori, per la venuta santissima del
salvatore nostro Gesù Cristo, perché, come buoni soldati, raccomandino
industriosamente e con ogni diligenza a tutti i fedeli tutto ciò che stabilisce
la santa chiesa romana, madre e maestra di tutte le chiese, come pure quello
che è stato stabilito in questo e negli altri concili ecumenici, perché mettano
in pratica ogni cosa, specialmente quello che riguarda la mortificazione della
carne, come la scelta dei cibi e i digiuni, o servono ad accrescere la pietà,
come la celebrazione devota e religiosa dei giorni festivi. E ammoniscano
frequentemente i popoli ad obbedire quanti sono loro preposti (421); poiché chi
ascolta questi, troverà Dio remuneratore, chi li disprezza, proverà la sua
vendetta.
L’indice dei libri, il catechismo, il breviario, il messale.
Nella seconda
sessione - celebrata sotto il santissimo signore nostro Pio IV (422) -, il
sacrosanto sinodo, scelti alcuni padri, li incaricò, perché pensassero cosa si
sarebbe dovuto fare delle varie censure e dei libri sospetti o pericolosi, e ne
riferissero poi allo stesso santo concilio. Ora sente dire che essi hanno posto
fine a questo incarico. Ma per la grande diversità e per il gran numero dei
libri, esso non può facilmente giudicarli, uno per uno. Comanda quindi, che
tutte le loro conclusioni siano presentate al romano pontefice, perché secondo
il suo giudizio e la sua autorità quello che essi hanno fatto sia portato a
termine e pubblicato. La stessa cosa comanda che facciano i padri, che hanno
ricevuto l’incarico per il catechismo, per il messale e per il breviario.
La precedenza degli oratori.
Quanto al luogo
assegnato agli ambasciatori, sia ecclesiastici che secolari, sia nel sedere che
nell’incedere ed in ogni loro altro atto, non è stato recato a nessuno di essi
alcun pregiudizio, ma ogni loro diritto e prerogativa - come pure quelle
dell’imperatore, dei re, delle repubbliche e dei loro prìncipi - sono rimasti
intatti e salvi. Essi, cioè, sono rimasti tali e quali erano prima del presente
concilio.
Dovere di accettare e di osservare i decreti del concilio.
È stata così grande
la sventura di questi nostri tempi e la inveterata malizia degli eretici, che
niente è stato mai tanto chiaro nell’affermazione della nostra fede o stabilito
con tanta certezza che essi, su istigazione del nemico del genere umano, non
abbiano contaminato. Per questo motivo il santo sinodo si è curato specialmente
di condannare e anatematizzare i principali errori degli eretici del nostro
tempo e di presentare ed insegnare la vera dottrina cattolica, come di fatto ha
condannato, anatematizzato e definito.
Poiché tanti
vescovi, chiamati dalle varie province del mondo cristiano, non potrebbero
senza grave danno per il gregge e senza pericolo per tutti star lontani più a
lungo dalle loro chiese e poiché, d’altra parte, non c’è più speranza che gli
eretici, invitati tante volte - anche con il salvacondotto, che essi avevano
chiesto - e attesi per tanto tempo, possano venire ed è, quindi, necessario
porre fine a questo sacro concilio; non resta altro - come si fa in realtà, -
che ammonire i principi perché vogliano prestare la loro opera, e non
permettano che i decreti da esso emanati siano corrotti e violati dagli
eretici, ma facciano in modo che da questi e da tutti siano accettati con
devozione e siano fedelmente osservati.
Se nella loro
ricezione sorgesse qualche difficoltà, o sia sfuggito qualche cosa che richieda
una dichiarazione o una definizione - ma il concilio non lo crede -, esso
confida che oltre agli altri mezzi messi a disposizione da questo santo
concilio, il santissimo pontefice romano - chiamati quelli che gli sembrerà
necessario per trattare quel problema (specie da quelle province dalle quali è
sorta la difficoltà) o con la celebrazione di un concilio generale, se lo
crederà necessario, o in qualunque altro modo che gli sembri opportuno, - si
preoccuperà di provvedere alle necessita delle province, per la gloria di Dio e
la tranquillità della chiesa.
Decreto sulla lettura in questa sessione dei decreti
pubblicati in questo stesso concilio sotto i sommi pontefici Paolo III e Giulio
III.
Poiché in diversi
tempi, tanto sotto Paolo III quanto sotto Giulio III, di felice memoria, sono
state stabilite e definite molte cose in questo santo concilio sulle dottrine e
la riforma dei costumi, il santo concilio intende che esse siano recitate e
lette.
Decreto sulla fine del concilio e sulla conferma da
chiedersi al sommo pontefice.
Illustrissimi
signori e reverendissimi padri, credete opportuno che a lode di Dio onnipotente
si chiuda questo sacro concilio ecumenico, e che di tutte le singole cose
stabilite e definite sotto i romani pontefici Paolo III e Giulio III, di felice
memoria, e il nostro santissimo signore Pio IV, si chieda conferma al
beatissimo pontefice romano, a nome di questo santo concilio, per mezzo dei
presidenti e legati della sede apostolica? [Risposero: sì].
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