SESSIONE XXI (16 giugno 1562)
Dottrina della comunione sotto le due specie e dei
fanciulli.
Proemio
Il sacrosanto
concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito nello Spirito
santo, sotto la presidenza dei medesimi legati della sede apostolica, poiché
per le arti dell’iniquissimo demonio sono state messe in giro, in diversi
luoghi, cose mostruose sull’adorabile e santissimo sacramento dell’eucarestia,
per cui in alcune province molti sembrano essersi allontanati dalla fede e
dall’obbedienza della chiesa cattolica, crede che a questo punto debbano
esporsi le verità che riguardano la comunione sotto le due specie e la
comunione dei fanciulli.
Esso, quindi,
proibisce assolutamente a tutti i fedeli cristiani di osare di credere,
insegnare, predicare diversamente, in seguito, su questi argomenti, da quanto è
stato spiegato e definito con questi decreti.
Capitolo I.
I laici e i chierici che non celebrano non sono obbligati
per disposizione divina a comunicarsi sotto le due specie.
Dichiara, dunque, ed
insegna, lo stesso santo sinodo, istruito dallo Spirito santo, - che è spirito
di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e di pietà (321) -, ed
attenendosi al giudizio e all’uso della chiesa stessa, che i laici e i chierici
che non celebrano, non sono obbligati da nessun precetto divino a ricevere il
sacramento dell’eucarestia sotto le due specie, e che non si può assolutamente
dubitare (senza diminuzione per la fede) che basti ad essi, per la salvezza, la
comunione sotto una sola specie.
Poiché, anche se
Cristo signore, nell’ultima cena istituì e diede agli apostoli questo
sacramento sotto le specie del pane e del vino, non è detto, però, che quella
istituzione e quella consegna voglia significare che tutti i fedeli per
istituzione del Signore siano obbligati a ricevere l’una e l’altra specie.
Che poi la comunione sotto entrambe le specie sia comandata
dal Signore, non si deduce neppure dal discorso di Giov. VI, comunque esso,
secondo le varie interpretazioni dei santi padri e dottori, debba intendersi.
Infatti, chi disse: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non
berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi, disse pure: Se
qualcuno mangerà di questo pane, vivrà in eterno (322). E Chi disse: Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna (323), disse
anche: Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo; e finalmente
chi disse: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io
in lui (324), disse, tuttavia: Chi mangia questo pane, vive in eterno
(325).
Capitolo II.
Il potere della chiesa circa la distribuzione del sacramento
dell’eucarestia.
Il concilio dichiara, inoltre, che la chiesa ha sempre avuto
il potere di stabilire e mutare nella distribuzione dei sacramenti, salva la
loro sostanza, quegli elementi che ritenesse di maggiore utilità per chi li
riceve o per la venerazione degli stessi sacramenti, a seconda delle
circostanze, dei tempi e dei luoghi. Cosa che l’apostolo sembra accennare
chiaramente, quando dice: La gente ci ritenga servi di Cristo e dispensatori
dei misteri di Dio (326). Ed è abbastanza noto che egli stesso si è servito
di questo potere, sia in molte altre circostanze (327) che in relazione a
questo stesso sacramento, quando, date alcune disposizioni circa l’uso di esso:
Il resto, dice, lo disporrò quando verrò (328).
Perciò la santa
madre chiesa, consapevole di questo suo potere nell’amministrazione dei
sacramenti, anche se all’inizio della religione cristiana l’uso delle due
specie non era stato infrequente, col progredire del tempo, tuttavia, mutato in
larghissima parte della chiesa quell’uso, spinta da gravi e giusti motivi,
approvò la consuetudine di dare la comunione solo sotto una sola specie e
credette bene farne una legge, che non è lecito riprovare o cambiare a proprio
capriccio, senza l’autorità della stessa chiesa.
Capitolo III.
Sotto ognuna delle due specie si riceve Cristo tutto intero
e il vero sacramento.
Il concilio
dichiara, inoltre, che quantunque il nostro Redentore, com’è stato detto poco
fa, abbia istituito e dato agli apostoli, nell’ultima cena, questo sacramento
sotto due specie, bisogna tuttavia confessare che anche sotto una sola specie
si riceve Cristo tutto intero e il vero sacramento, e che, per quanto riguarda
il frutto, quelli che ricevono una sola specie non vengono defraudati di
nessuna grazia necessaria alla salvezza.
Capitolo IV.
I piccoli non sono obbligati alla comunione sacramentale.
Finalmente lo stesso
santo sinodo insegna che i bambini che non hanno l’uso della ragione, non sono
obbligati da alcuna necessità alla comunione sacramentale dell’eucarestia.
Rigenerati, infatti, dal lavacro del battesimo (329) e incorporati a Cristo,
non possono, a quell’età, perdere la grazia di figli di Dio, che hanno
acquistato.
Non si deve,
tuttavia, condannare l’antichità, se in qualche luogo ha conservato quest’uso.
Come, infatti, quei padri santissimi dovettero avere un motivo plausibile, per
l’indole di quei tempi, che giustificasse il loro modo d’agire, così bisogna
credere che, senza dubbio, hanno agito in tal modo, senza pensare affatto che
ciò fosse necessario alla salvezza.
CANONI SULLA
COMUNIONE SOTTO LE DUE SPECIE E SULLA COMUNIONE DEI FANCIULLI
1. Se qualcuno dirà
che tutti e singoli i fedeli cristiani devono ricevere l’una e l’altra specie
del santissimo sacramento dell’eucarestia per divino precetto o perché sia
necessario alla salvezza, sia anatema.
2. Chi dirà che la
santa chiesa cattolica non sia stata addotta da giuste ragioni e da giusti
motivi, a dare la comunione ai laici e a quei sacerdoti che non celebrano sotto
una specie soltanto o che in ciò essa erri, sia anatema.
3. Se qualcuno negherà
che sotto la sola specie del pane si riceve Cristo, fonte ed autore di tutte le
grazie, tutto intero perché, come alcuni dicono falsamente, non è ricevuto
sotto l’una e l’altra specie, secondo l’istituzione di Cristo, sia anatema.
4. Se qualcuno dirà
che la comunione eucaristica è necessaria ai bambini anche prima che abbiano
raggiunto l’età di ragione, sia anatema.
Quanto ai due
articoli, già proposti, ma non esaminati, e cioè: "Se i motivi da cui fu
indotta la chiesa cattolica per dare la comunione ai laici e a quei sacerdoti
che non celebrano solo sotto una specie, siano da considerarsi tali da non
permettere ad alcuno l’uso del calice per alcuna ragione"; e: "Se,
qualora sembrasse opportuno doversi concedere ad alcuna nazione o regno, per motivi
giusti e conformi alla cristiana carità, l’uso del calice, debba concedersi
sotto alcune condizioni: e quali siano queste condizioni", lo stesso santo
sinodo ne rimanda l’esame e la conferma ad altro tempo, alla prima occasione,
cioè, che ad esso si presenterà.
Decreto di riforma.
Introduzione
Lo stesso sacrosanto
concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito
santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, a lode di
Dio onnipotente e a gloria della santa chiesa cattolica, crede bene stabilire,
al presente, quanto segue, sul problema della riforma.
Canone I
Poiché dall’ordine
ecclesiastico deve esulare qualsiasi sospetto di avarizia, i vescovi e gli
altri che conferiscono gli ordini o i loro rappresentanti, anche se venisse
offerto spontaneamente, non devono ricevere nulla con nessun pretesto; per il
conferimento di qualunque ordine, - anche per la tonsura clericale -, per le
lettere dimissorie o testimoniali, per il sigillo o per qualsiasi altro motivo.
Quanto ai notai,
solo in quei posti dove non vi è la lodevole consuetudine di non prendere
nulla, potranno ricevere per ogni lettera dimissoria o testimoniale la decima
parte di uno scudo d’oro, purché non vi sia, già stabilito, un salario, per
l’esercizio del loro ufficio. Né al vescovo potrà provenire su quanto
percepisce il notaio un qualche guadagno, direttamente o indirettamente, per il
conferimento degli ordini. Essi dovranno prestare la loro opera del tutto
gratuitamente. Altrimenti il sinodo annulla e proibisce assolutamente le tasse,
gli statuti, le consuetudini contrarie, anche immemorabili, che possono
piuttosto essere chiamate abusi e corruzioni, e che favoriscono la triste
simonia.
Quelli che agissero diversamente, sia col dare che col
ricevere, oltre la divina vendetta, incorrano ipso facto nelle pene
stabilite dal diritto.
Canone II
Poiché non è
conveniente che quelli che sono entrati al servizio di Dio, con disonore del
loro ordine debbano mendicare o esercitare un mestiere ignobile come mezzo di guadagno
e poiché è noto che moltissimi, in moltissime parti, vengono ammessi ai sacri
ordini senza alcuna selezione, ed affermano, con arti e menzogne, di avere un
beneficio ecclesiastico o mezzi sufficienti, il santo sinodo stabilisce che in
futuro nessun chierico secolare, anche se adatto per costumi, scienza ed età,
venga promosso ai sacri ordini, se prima non risulti legittimamente che egli ha
il pacifico possesso di un beneficio ecclesiastico, che gli sia sufficiente per
un onesto sostentamento.
Né potrà rinunziare
a questo beneficio, se non facendo menzione che è stato promosso a titolo di
quel beneficio; e la rinunzia non sia accettata, se non risulterà che possa
vivere tranquillamente con altri mezzi; altrimenti la rinunzia sia nulla.
Quanto a quelli che
hanno un patrimonio o una pensione, non potranno essere ordinati, in futuro, se
non quelli che il vescovo giudicherà doversi assumere per la necessità o per la
comodità delle sue chiese e non senza essersi prima ben assicurato che quel
patrimonio e quella pensione essi li hanno davvero, e che sono sufficienti a
sostentarli. Questi, inoltre, non potranno, in seguito, esser alienati, o
estinti, o ceduti in alcun modo senza licenza del vescovo, fino a che non
abbiano avuto un beneficio ecclesiastico sufficiente, o abbiano donde possono
vivere. In ciò si rinnovano le pene degli antichi canoni.
Canone III
Dato che i benefici
sono stati costituiti per assicurare il culto divino e compiere i doveri
ecclesiastici, perché in nessun modo il culto divino languisca, ma gli venga
reso il dovuto rispetto in ogni cosa, questo santo sinodo stabilisce che nelle
chiese, sia cattedrali che collegiate, in cui non vi sono distribuzioni
quotidiane o in cui siano talmente esigue da essere probabilmente trascurate,
vi si debba destinare la terza parte dei frutti e di qualsiasi provento ed
introito, tanto delle dignità che dei canonicati, dei personati, delle porzioni
e degli uffici e si debba trasformare in distribuzioni quotidiane. Queste
saranno divise proporzionalmente fra quelli che hanno le dignità e gli altri
presenti ai divini uffici, secondo la divisione che dovrà essere fatta dal
vescovo, anche come delegato della sede apostolica, in occasione della prima
percezione dei frutti. Restano salve, naturalmente, le consuetudini di quelle
chiese, nelle quali quelli che non risiedono o che non servono nei divini
uffici, non percepiscono nulla o meno di un terzo. Tutto ciò, non ostante
qualsiasi esenzione, qualsiasi altra consuetudine, anche immemorabile e
qualsiasi appello. Qualora la contumacia di quelli che non servono cresca, sia
lecito procedere contro di essi secondo quanto dispongono il diritto e i sacri
canoni.
Canone IV
I vescovi, anche
come delegati della sede apostolica, in tutte le chiese parrocchiali, o
battesimali, nelle quali il popolo è talmente numeroso, che un solo rettore non
basta ad amministrare i sacramenti della chiesa e a compiere il culto divino,
costringano i rettori o gli altri, a cui tocca, ad associarsi tanti sacerdoti,
in questo ufficio, quanti siano sufficienti a dare i sacramenti e a compiere il
servizio divino.
In quelle chiese, poi, nelle quali per la distanza o la
difficoltà dei luoghi i parrocchiani non possono recarsi a ricevere i
sacramenti o ad assistere ai divini uffici se non con grande incomodo, anche se
i pastori fossero contrari, possono costituire nuove parrocchie, secondo quanto
prescrive la costituzione di Alessandro III, che inizia con le parole: Ad
audientiam. A quei sacerdoti, inoltre, che per la prima volta devono esser
preposti alle chiese di nuova erezione, venga assegnata, a giudizio del
vescovo, una giusta porzione dei frutti, che in qualsiasi modo appartengono
alla chiesa madre. Se fosse necessario, potrà costringere il popolo a
provvedere a ciò che è necessario per il sostentamento di questi sacerdoti, non
ostante qualsiasi riserva, generale o particolare su queste chiese. Queste
ordinazioni, inoltre, ed erezioni non potranno esser tolte o impedite da
qualsiasi provvista, anche in forza di una rinuncia o di qualsiasi altra deroga
o sospensione.
Canone V
Perché anche lo
stato delle chiese, in cui si compiono gli uffici divini, sia conservato
decorosamente, i vescovi, anche come delegati della santa sede, - nella forma
del diritto e senza pregiudizio di chi le ha - potranno fare unioni perpetue di
qualsiasi chiesa parrocchiale e battesimale e di altri benefici, con o senza
cura d’anime, con altri benefici curati, a causa della loro povertà e negli
altri casi permessi dal diritto, anche se tali chiese o benefici fossero
riservati in modo generico o specifico.
Queste unioni non
potranno neppure esser revocate o in qualche modo infrante, in forza di
qualsiasi provvista, anche a motivo di rinunzia, di deroga, o di sospensione.
Canone VI
Poiché i rettori di
chiese illetterati ed imperiti sono meno adatti ai divini uffici ed altri, per
la loro vita disonesta, piuttosto che edificare distruggono, i vescovi, in
quanto delegati della sede apostolica, potranno assegnare a quelli che sono
illetterati ed imperiti - se, d’altronde, conducono vita onesta - dei
coadiutori o dei vicari temporanei e destinare ad essi parte dei frutti per un
onesto sostentamento, o provvedere ad essi in altro modo, senza alcuna
ammissione d’appello o di esenzione.
Reprimano, invece, e
castighino, dopo averli ammoniti, quelli che vivono disonestamente e
scandalosamente. Se poi continuassero, incorreggibili, nella loro malvagità,
avranno facoltà di privarli dei loro benefici, secondo le prescrizioni dei
sacri canoni, senza alcuna possibilità di appello e di esenzione.
Canone VII
Bisogna avere molta
cura anche di questo: che ciò che è destinato ai sacri ministeri, col passare
del tempo non vada affievolendo e non se ne perda dagli uomini la memoria.
Quindi i vescovi, anche in qualità di delegati della sede apostolica, potranno
trasferire a loro volontà i benefici semplici - anche di diritto di patronato,
- da quelle chiese che per vecchiezza od altro motivo fossero andate in rovina
e non potessero per mancanza di mezzi essere restaurate, alle chiese madri o ad
altre chiese degli stessi luoghi o di luoghi vicini, dopo aver convocato quelli
cui la cosa interessa. In queste chiese erigano altari e cappelle sotto le
stesse invocazioni o li trasferiscano in altari o cappelle già erette, con
tutti gli emolumenti e gli oneri, che gravavano sulle chiese originarie.
Procurino anche di
rifare e di restaurare le chiese parrocchiali cadute, anche se fossero di
diritto di patronato, ciò, coi frutti e proventi di qualsiasi natura, che in
qualsiasi modo appartengono alle stesse chiese. Se questi non bastassero,
inducano con ogni mezzo opportuno tutti i patroni e quelli che percepiscono
qualche frutto da queste chiese, o, in mancanza di questi, i loro parrocchiani,
perché compiano questo loro dovere, senza che si possa addurre alcun appello, esenzione
o altra cosa in contrario.
Nel caso che tutti
fossero molto poveri, siano trasferiti alle chiese madri o a quelle più vicine,
con facoltà di destinare tanto le suddette chiese parrocchiali, quanto le altre
che fossero in cattivo stato, ad usi profani, ma non ignobili, lasciandovi una
croce.
Canone VIII
È giusto che tutto
quello che riguarda il culto di Dio nella diocesi debba essere curato
dall’ordinario e, se necessario, da lui provveduto.
Ogni anno, quindi, i
monasteri dati in commenda, chiamati anche abbazie, priorati, prepositure, in
cui non fiorisce l’osservanza della regola, ed inoltre i benefici, sia con cura
d’anime che senza, secolari e regolari in qualsivoglia maniera dati in
commenda, anche esenti, siano visitati dai vescovi, anche in qualità di
delegati della sede apostolica.
Curino pure, gli stessi vescovi, con opportuni rimedi, anche
col sequestro dei frutti, che le cose che hanno bisogno di rinnovamento o di
restauro, siano rifatte, e chela cura delle anime, se fosse annessa ad esse o a
quello che con esse è connesso, ed altri doveri inerenti siano esattamente
soddisfatti, non ostante qualsiasi appello, privilegio, consuetudini, - anche
prescritte ab immemorabili, - qualsiasi diritto dei conservatori,
decisione e proibizione dei giudici.
Se in essi, invece,
fosse viva la osservanza delle regole, i vescovi facciano in modo, che i
superiori di tali regolari conducano la vita conforme alle loro regole e le
facciano osservare e tengano a freno, nel compimento del dovere, i loro
dipendenti e li guidino. E se, dopo essere stati ammoniti, non li visitassero
entro sei mesi e non li correggessero, allora gli stessi vescovi, anche come
delegati della sede apostolica, potranno visitarli e correggerli, come
potrebbero farlo gli stessi superiori secondo le loro regole. Ogni appello,
privilegio, esenzione sarà impossibile e non servirà a nulla.
Canone IX
Dai diversi concili
anteriori: dal Lateranense (330), da quello di Lione, da quello di Vienne
(331), sono stati decisi molti rimedi contro gli indegni abusi dei raccoglitori
di elemosine. Questi, però, in seguito, sono stati resi inutili, anzi si deve
constatare che la loro malizia cresce talmente ogni giorno, con scandalo enorme
e lamentele di tutti i fedeli, da doversi disperare assolutamente che possano
in qualunque modo correggersi.
Si stabilisce,
perciò che d’ora in poi, in qualsiasi parte del mondo cristiano sia del tutto
abolito il loro nome e l’uso e che in nessun modo sia permesso di esercitare
questo ufficio, non ostante i privilegi concessi alle chiese, ai monasteri,
agli ospedali, ai luoghi pii, e a qualsiasi persona, di qualunque grado, stato
e dignità e non ostante qualsiasi consuetudine, anche immemorabile.
Quanto alle
indulgenze e ad altre grazie spirituali, di cui non per questo i fedeli cristiani
devono esser privati, si dispone che in avvenire debbano esser pubblicate dagli
ordinari del luogo al popolo a tempo debito, servendosi d due membri del
capitolo, cui viene data anche la facoltà di raccogliere con scrupolo le
elemosine e gli aiuti della carità che vengono loro offerti, senza ricevere
affatto alcun compenso. Così intenderanno tutti, veramente, che questi celesti
tesori della chiesa vengono usati non per guadagno, ma per alimento della
pietà.
Decreto di indizione della futura sessione.
Il sacrosanto
concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito
santo, sotto la presidenza degli stessi legati della sede apostolica, ha
stabilito e disposto che la prossima futura sessione debba tenersi e celebrarsi
il giovedì dopo l’ottava della festa della natività della beata Maria vergine,
che sarà il giorno 17 del mese di settembre prossimo futuro.
Ciò, tuttavia, si
deve intendere nel senso che esso possa ed abbia facoltà di poter abbreviare o
prolungare liberamente a suo arbitrio e volontà questo termine e quello che
sarà assegnato in futuro ad ogni sessione, anche in una congregazione generale,
come crederà utile all’andamento del concilio.
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